giovedì 4 agosto 2011

Ich Bin Die Fesche Lola - Due Bisbetiche Indomate a Berlino

Vorher

Un anno e sette mesi senza vacanze. E’ un punto di non ritorno. E ora basta. Sono questi tempi in cui apro la cassetta della posta sperando di non trovarvi nulla, o quanto meno nessuna bolletta, figuriamoci una multa, giacché di lettere d’amore - in epoca di mail, sms e diavolerie tecnologiche simili - non si parla manco a piangere in cinese. Ho messo sù un vero e proprio rito di approccio alla odiata e amata cassetta, con tanto di scongiuri; prima guardo dalla fessura, ma vero sospiro di sollievo a suon di “ E anche per oggi è fatta! “ lo tiro solo dopo aver aperto completamente lo sportello con la chiave.

Con le pezze al culo.

Al verde.

Sul lastrico.

Il mio conto corrente sta tentando il suicidio. Ogni volta che in un negozio striscio il bancomat so che mi potrei ritrovare istantaneamente i doberman dell’istituto di credito, prontamente sciolti dal Direttore, alla giugulare. Ma perché non adottano dei barboncini nani color albicocca?

E te credo che non ho un soldo in tasca. Vivere da soli a 30 anni oggi in Italia è un impresa titanica. Tutti a dirti: “Cretina, sposati! Cosa aspetti?!”. Te lo urla la gente, te lo bisbigliano i parenti impiccioni, te lo flautano le colleghe all’orecchio, proprio loro che poi ti dicono che venire a lavoro è il diversivo perché nel circo di mariti e figli a casa annaspano 24 ore su 24: fossi minchiona! Ma non solo le persone ti sibilano parole esplicite, tutto sembra dirti che è l’ora di mettere la testa a posto. Gli esempi sono a portata di mano; a fare la spesa ci sono fior fiore di promozioni sui pacchi famiglia, roba che quando tocca alla cartaigienica ti pulisci il culo da qui fino al 2024 (per gli stitici fino al 2050); e passino i candidi rotoli, perché restare con l’ultimo mitico strappo sul più bello è spiazzante. Ma quando è il turno di mozzarella o prosciutto la prova si fa ardua; provate a stare una settimana a mozzarella, provate; o una settimana a prosciutto; alla fine attaccate un gancio in soffitto e vi ci appendete cospargendovi di pepe. Ma esistono altri esempi: i messaggi che ti spediscono per mail o per sms dai produttori di linee pré-maman; vi chiedete se ci siano promozioni su tutine e fasciatoi? Chiedete pure alla sottoscritta!

E che diavolo c’entra tutto questo con Berlino? C’entra, eccome: 19 mesi senza vacanze perché non decido ad appaiarmi. Non solo, d’accordo, ma anche. E trovamelo uno pronto a sopportare i miei deliri e le mie nevrosi. Ma andiamo avanti. Parlerò approfonditamente di queste difficoltà con Marta Flavi e Sigmund Freud. Quest’anno devo chiudere il becco e smetterla di lamentarmi, visto che per le ferie riesco a partire. Tutta quest’attesa però fa capire lo spirito con cui accolgo le ferie. Nonostante crisi, inflazione e penurie, si parte. E il gaudio è davvero magno. Ho azzeccato un bell’ambo, ho preso due piccioni con una fava: non solo parto, ma soprattutto mi becco con Isil. Si potrebbe anche andare al Padule di Fucecchio, perché è l’INCONTRO che conta. E comunque niente padule, abbiamo voluto esagerare. La città che mi vide festeggiare la seconda tesi con Valetudo a fine 2008, mi riospiterà con Isil in settembre. Roba da pazzi. Lei cala da Stoccolma, io salgo da Firenze e ci troviamo a Berlino. Cristo Berlino, mica Signa. Berlino, ah! Senti come suona bene. B_E_R_L_I_N_O! Che gusto pronunciare questo nome.

Dunque le coordinate sono chiare: 52° 31’ Nord, 13° 25’ Est. Se vuoi telefonare il prefisso è +49 030, se vuoi mandare una cartolina il codice d’avviamento postale è 14199, mi raccomando.

Mi sembra quasi un miracolo. E’ da metà maggio che so di avere la prima quindicina di settembre di ferie; non mi piace affrontare l’estate con le vacanze alle spalle. Ci si arriva morti, ma il miraggio è davanti a te, non te lo lasci alle spalle come quando parti a giugno…

“Hai la prima quindicina di settembre”

Mi disse la capa quando le chiesi notizie in proposito.

La mia mente, già pronta a rifiutare e rinvare a ottobre se venivano tirati in ballo giugno o luglio, iniziò a scaldarsi. Quest’anno non faccio come l’anno scorso, quest’anno in ferie ci vado, anche in autostop, anche a costo di lavare i piatti dei ristoranti turistici dei centri storici; se stai a casa non stacchi, trovi sempre qualcosa da fare; anche a costo di andare in prigione.

Questo della galera, a dire la verità, era un vecchio stratagemma che io e Isil architettammo in Interrail. Era il 2001, c’erano ancora le Lire, gli Scellini, i Fiorini e tutta la batteria di monete ante euro al completo che ti facevano fare mille conti in vacanza, e con ciò sembra ancora di più di parlare di preistoria; non erano ancora cadute le Torri Gemelle; era davvero un’era fa. Ci lasciammo alle spalle la Francia per arrivare in Belgio, prima di raggiungere l’Olanda. In tutto il cazzutissimo Belgio, che sarà anche piccolo ma è pur sempre una nazione, quel giorno non pareva esserci manco un buco per noi e i nostri sacchi a pelo. Niente ostelli; e va bene, essendo economici sono i primi posti a partire, ma manco all’Hilton o al Ritz c’era possibilità di pernottare. E sotto i ponti era pieno di clochard, così come i barconi sulla Schelda e sulla Mosa erano già occupati. A quel punto pensammo di farci sbattere in gattabuia: era pur sempre un tetto sulla testa; ti danno anche da mangiare. Invece poi saltò fuori una stamberga in un hotel nella periferia di Anversa e dove ci toccò sgraffignare razioni triple a colazione per arrivare alla pensione completa che non avevamo ma che ci era imprescindibile. Dovevamo risparmiare: la terra olandese era vicina e carissima…

E ora che le piccole pesti sono cresciute, diventando donne in carriera (non esco mai di casa senza la mia 24 ore, i tacchi a spillo, il tayeur e il machete), ci possiamo permettere ben altro. Ora che alla nostra generazione è stato tolto definitivamente l’orizzonte del possibile e se vuoi arrangiarti in qualche modo, non fare il bamboccione da mamma fino a 40 anni e passa, ti tocca emigrare ed avere le persone a cui vuoi bene nel posto sbagliato – come per Isil – o – come x me – tornare all’università per imparare a lavare il culo ai vecchi (ci vuole la laurea anche per quello), ora ci possiamo permettere un ostello con bagno in camera, che detto così sembra quasi una piacevole contraddizione in termini. E siamo nel cuore di Berlino. Si tratta dell’All in Hostel di Gruenberger Strasse, a Friedrichshain, un quartiere –“Bezirk”- di squatter e punk, in cui la combriccola è ormai annoverata tra gli habitués; alloggiammo infatti nello stesso ostello con Valetudo nel 2008, ed inoltre lei era nell’elenco degli ospiti, con consorte Bourgugnon anche nell’estate del 2010 (era il 2010 vero Valetù?). Pulito, tranquillo, centrale, ti forniscono anche gli asciugamani e c’è la connessione web per pochi spiccioli e poi se non c’è chissene, dato che saremo lì per girare e vedere la città e non per spappolare tutto il tempo. E soprattutto buono il prezzo, cosa che, in una delle mete europee che insieme alla Scandinavia, vanta i prezzi più alti, va tenuta nel suo buon conto.

Ma come siamo arrivate fin qui? Ad esser precisi ci dobbiamo ancora arrivare, ma insomma questo è un piccolo particolare e lasciatemi il vezzo dell’immaginazione, sennò che scrivo a fa’?? Mi basterebbe leggere il giornale. In realtà alla fin dei conti non ci è voluto molto, son bastate una mail e una telefonata. Una volta architettata come meta Berlino ho aperto la Mail, digitato l’indirizzo di Isil nel destinatario e provare:

“Ce stai a settembre per farci un giro teutonico?”

Non osavo nemmeno sperarci… E invece, donna di poca fede, mi son fatta bugiarda.

A quel punto, da vera pigrona, sono andata all’agenzia.

Di prenotare da sola il volo non esiste. Adoro sputtanare i miei pochi averi in questi servizi. Non volo in economy, e infatti non volo quasi mai. Non posso fottermi la vacanza dell’anno perché se mi salta uno dei voli parto 2 giorni dopo da Caltanissetta; e poi le hostess sono dei rottami scortesi. Dove si è visto mai? Voglio Stewart gay dalle bionde e bellissime colleghe che con grazia mi chiedono se desidero thè, caffè o superalcolici, provocando la mia invidia più cieca; è così che deve essere.

E dunque una volta chiarite, in agenzia, le date di arrivo e partenza, ho chiamato Isil e m’è sembrato quasi troppo facile. I tour-operator avranno pensato che fossi matta; sono uscita dall’ufficio saltellando e canticchiando, strafregandomene del diluvio caraibico che si stava abbattendo in strada e sul marciapiede. Sono arrivata alla macchina fradicia, ma felice. Nel raptus ho chiamato anche Valetudo per dirglielo. Manco avessi fatto 6 al superenalotto.

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