lunedì 29 marzo 2010

Fabio

- Lascia andare lo spirito di quelli che se ne vanno e continua la tua celebrazione della vita - A. Ginsberg

venerdì 26 marzo 2010

Il Grizzly a piede libero

Non parleremo qui del noto orsacchiotto a pelo grigio, gran carnivoro del nord America noto per la sua irritabilità e ferocia, ma di una delle ultime disavventure amorose della Titti. Si presentò alla mia porta inviperita e rinunciò alla dose gianduiottesca che sono solita offrirle in simili (e frequenti) occasioni, cosa che mi ha fatto soppesare gli eventi che sto per narrarvi come degni di nota; in luogo della cioccolata si avventò sulle sigarette, ma l’ingrediente decisivo per il realizzarsi della presente fu l’intuizione, che divenne certezza con la conferma orale della diretta interessata, del silenzio sessuale che ormai, a giudicare dalla compostezza dell’acconciatura e dal rosicchiamento ungueale, doveva protrarsi da alcuni giorni; quest’ultima connotazione rivestiva i fatti di tutta la loro gravità, ascrivendoli allo spessore degli scoop; insomma era quello che tra le amiche chiamavamo “una bomba”, succulento e primo pettegolezzo sciorinato con profusione di dettagli davanti a tazze di te/caffè/fette di torta/ babà e immaginari ferri e gomitoli. La Titti che non tromba è come dire che Cicciolina è vergine, suscita l’ilarità del non-senso. Questa era la notizia, degna dei titoloni cubitali sui gazzettini del gossip telefonico, balconiere e telematico tra le comari del quartiere. In conseguenza veniva l’altra novella, che aveva piantato il fidanzato, perchè è chiaro, con attività sessuale pari a zero con la Titti non vai avanti; basti ricordare che vive sola con un gatto rosso che ha chiamato Chalis: “Chi vive con me deve garantirmi una certa prestanza”, come dice la padroncina. Tuttavia è questa seconda news che ci apre riflessioni antropolologiche non prive di implicazioni sfacciatamente attuali, per quanto riguarda una certa fauna maschile. Cosa era accaduto? La Titti mi suona, poco prima dell’ora di pranzo con le unghie sbeccate e smangiucchiate, con tutti i capelli a posto, ma con gli occhi crittati di sangue.

“Quelli così dovrebbero sbattergli in galera e buttare via la chiave!”

Esordisce entrando e togliendosi sciarpa e cappotto in un colpo solo, mossa in cui era maestra, appresa, come amava vantarsi, in un bordello di Mosca da una spogliarellista zoppa, la leggendaria Maruska. Non importa che la faccia accomodare, si svacca sulla poltrona come se fosse a casa sua, e in un certo senso lo è.

“E gliel’ho detto sai, a quel pappamolla”

Incalza stridula, mentre le verso il vermuth rituale e aggancio la coppa pernigotti delle separazioni, che lei rifiuta con un gesto deciso della mano proseguendo:

“Succube della madre. Ti rendi conto???”

Ha gli occhi fuori dalle orbite, incredula e rabbiosa, ma c’è da capirla.

La Titti ormai, per usare un’espressione cara al Sergente, non è più di primo pelo, ha passato la trentina, e nel virare la pluridecennale boa sente che ha cambiato sistema valoriale; ad esempio un tempo guardava le persone con età inferiore a 15 anni con schifato distacco, chiamandoli, come Liz Taylor in “La gatta sul tetto che scotta”, “Mostri senza collo”, asserendo fiera che a lei i bambini piacevano da lontano e “gli altrui” e in proposito storica fu la colazione alla pasticceria Aquila con L’Arabo Paziente, con cui condivideva tale opinione sull’infanzia: seduti nel bar davanti al loro cappuccino stavano discorrendo in amabile tranquillità finchè non furono interrotti da un turpiloquio vociante formato famiglia cuore (genitori + 2 figli, preferibilmente di sessi ed età diverse, i gemelli non valgono, troppo facile!). I decibel raggiunti dal sopraggiunto quartetto furono troppi anche per l’oste che li invitò ad allontanarsi; i due amici si guardarono, poi guardarono i marmocchi, dopodichè, armonicamente sincroni, spostarono lo sguardo sul cane della vicina coppia e di nuovo guardandosi sbottarono all’unissono: “Meglio un cane che un figlio!”.

Ma quei tempi erano ormai andati, la Titti ora riceveva sms promozionali da un negozio di abbigliamento pre-maman e per neonati, che la avvertiva delle promozioni e delle novità; non s’è mai saputo come il numero della Titti possa esser finito nella mailing list di tale azienda, sebbene i sospetti maggiori cadano su ex-compagni di università della nostra che la incoraggiavano goliardi: “Sbrigati Titti, tu c’hai gli ultimi scoppi!”. Invano ella rispondeva: “Voi è un po’ che gli avete finiti!” e tentato di cancellarsi da tale nefasta lista che, ogni volta, la metteva di fronte all’avvicinarsi della menopausa, della crescita zero, dell’inflazione e della perdita progressiva del punto vita per adipe e non per fecondazione.

Ultimamente, si era scoperta incantata davanti agli scaffali di pappe e alimenti per l’infanzia e quando cercava i suoi amati tampax finiva per deviare sui pampers; con sconcerto e divisione aveva sviluppato quest’istinto materno; furono tempi di lotte intestine, crisi, pianti apparentemente immotivati, poi se ne fece una ragione; così non si stupì quando vide una réclame di elettrodomestici che ritraeva un pargolo davanti a una Sacher con baffi di cioccolato su naso e guance del fatto che iniziasse a fantasticare di fare lei una torta e di avere un frugolo tra i piedi che gliela mangiasse di nascosto. A onor del vero va anche detto che quando le prendevano questi momenti, per riparare alla sciagura, correva a comprarsi un completino intimo super zocculo e si rivedeva il dvd di Maruska “L’arte di fare il pompino: stargli ai piedi tenendolo per le palle”, ma ormai il salto era fatto.

Sicuramente a tal condizione aveva contribuito anche il Sergente, sua pur sempre nonna, che al chiederle: “Quando me lo sforni un nipotino? Voglio diventà bisnonna prima di morì” si era sentita rispondere: “Si, nonna, va a finire che un figliolo lo fo da me” e di rimando cameratescamente la vecchietta l’aveva ammonita: “Nini, a te ti ci vole un pipi!”.

Tutto ciò faceva capire alla Titti che la sua vita era ormai cambiata, che erano finiti i tempi delle smemorande più grosse del Devoto-Oli e che era tempo di far quadrare i conti.

Il dispiegamento di forze, al manifestarsi di tanto istinto materno, fu degno dell’FBI. La Titti vuol mettere la testa a posto: era doveroso metterle a disposizione tutto il Genio di siffatte occasioni, dato che lei, scapestrata e sgrillettante scavezzacollo, ne era completamente digiuna. Infatti se prendiamo il paradosso di Marilyn per cui “”Prima del matrimonio, una ragazza deve fare sesso con il suo uomo per tenerlo legato. Dopo il matrimonio, una ragazza deve legare il suo uomo se vuole fare sesso con lui”, la Titti si collocava solo nella prima parte, ed anzi la seconda, scomparendo l’epiteto “Matrimonio”, che nel suo dizionario equivaleva all’insieme vuoto, perdeva addirittura ragion d’essere. Il lavoro da svolgere era parecchio.

La prima ad accorrere in filiale aiuto, cronologicamente parlando, fu la madre, con disastroso, ma ammirevole slancio: candidava l’avvocato Gerando "Jeko" S., miracolo anagrafico di beautifulliana memoria, che tuttavia avrebbe al massimo potuto, nel suo stile retrò, chiedere alla Titti “Signorina, gradisce un cordiale?” o, se si vuole “Mi permetta di offrirle un rosolio”. La sventurata s’immaginò alle prese con serviti di vetro trasparente decorato, non se la sentì e sentenziò: “Serviamo il numero..”

L’amorevole mammina doveva rendersi conto della pisciata fuori dal vaso: dai boa fuxia in piume di struzzo e fagiano (“alla bersagliera”, per accontentare il Sergente) e tacchi del dodici in plateau di raso il salto era troppo rischioso.

Le T4ever si prodigarono nello stilare prtocolli inoppugnabili, che dopo anni di sex, drugs&rock’n’roll dovevano assolutamente entrare nel bagaglio della Titti. Anche qui l’impresa si preannunciava quanto mai disperata, dato che l’abitudine era quella di lanciare un urlo al risveglio, non riconoscendo il partner delle ore precedenti; la pulzella, come si capisce, andava rieducata di brutto e riabituata a non sferrare “il dolce assalto” al primo incontro (se non prima). Le Istruzioni operative, meglio conosciuti come Protocolli Brunello, dato che furono amorevolmente redatti da Eule e Valetudo a suon dell’omonimo vino di Montalcino, erano in origine 4, e furono registrati e trasmessi ipso tempo all’interessata via sms; portavano nomi di varie città ed erano dotati di rima, per licenza poetica etanol-correlata. La rima ne costituiva anche la validità. Data la loro statuarietà furono anche detti “Della mutanda di ghisa”; essi recitavano:

Protocollo di Palermo - fino alla seconda i’cinci sta fermo

Protocollo di Ronta - solo alla seconda tieniti pronta

Protocollo di Francoforte - darla alla prima vuol dire morte

Protocollo di Sarajevo - la mutanda un’me la levo.

Circa il secondo è dubbio il riferimento della città: non si sa se si tratta di Francoforte sull’Oder o sul Meno, le autrici non l’hanno saputo dare chiarimenti.

Le amiche volevano fosse inoppugnabilmente chiaro che fino alla seconda uscita non doveva esserci sesso, se non oralmente alluso e solo fino al petting casomai.

Ad essi la Titti, come colei che mangia l’ultima fetta di torta prima d mettersi a dieta, volle aggiungerne due, il Protocollo di Shangai - e non smetto di darla mai e il Protocollo di Timbuktù - non finisco di darla più, quale radicamento ed affetto verso la propria identità.

La Titti era spaventata da cotanto Medioevo, considerato che sulla terra c’erano già stati Hippy e ’68, e credeva fermamente nella superstizione per cui tale pratica monacale avrebbe finito per farle rispuntare l’imene, che per lei rappresentava un fantasma del passato remoto e sepolto, di cui si era alleggerita con gioia e furia di cheerleader, sapendo che anche per i musumlani, alla fine, quello delle vergini non era affatto un paradiso: non poteva credere che agognassero a una fila di 72 illibate tremebonde: secondo lei, dopo la terza sarebbero corsi a gambe levate dalle esperte.

In ogni modo Woodstock era passato, Hendrix e la Joplin se ne erano andati (se assassinati dalla CIA per sovversione alla morale pubblica o meno poca differenza faceva), tanto valeva che la Titti si adattasse ai nuovi usi e costumi.

Tuttavia una sera il destino parve compiersi da sè. L’incontro avvenne casuale e inaspettato ad una cena natalizia di un’associazione di volontariato di cui la Titti e il futuro sposo facevano parte entrambi, pur ignorandolo. Con più di 200 presenze finirono comunque per sedere accanto. Era destino! Il cavaliere aveva optato per un look trasandato ma non troppo in maglione e jeans, facendo affidamento unicamente allo sguardo ceruleo che possedeva. La Titti sfoggiava il suo stacco di coscia adornato da mini-vestito filopassera e stivali sadomaso. Civettuola lanciava, ad intervalli di 7 minuti, oggetti sotto il tavolo costringendo il masculo a chinarsi e farle più e più volte i raggi x agli arti inferiori: non gliel’avrebbe data quella sera, ma la Titti restava la Titti e di certe perle non poteva fare a meno. Del resto adorava provocare erezioni. Non toccò quasi cibo, impegnata nell’arte seduttiva, ma quando arrivò i gelato non potè non esibirsi in toccate e fughe di lingua sulla paletta che preludevano ad acrobazie degne della miglior gola profonda. Presto levarono le tende e si trasferirono a pomiciare in un pub, per poi rincasare correttamente separati.

Nel secondo incontro la Titti sfoderò il suo pezzo forte: lo scollo; questo mise k.o. la pur tanta altitudine del ragazzo: 1,96 m di altezza per 96 kg di carne, per cui decadde la legge fisica in base alla quale si baciavano solo se lui era consenziente, dovendo altrimenti lei saltare; la furbetta aveva fatto in modo che si abbassasse lui spontaneamente verso tanta prosperità.

Era fatta. Suonavano le campane, si mangiavano confetti e pioveva riso.

L’idillio andò avanti per svariare ore ininterrotte di sesso, da cui la malupina dedusse che il ragazzo era a secco da diverso tempo, finchè non iniziò a dare i primi segni di sgretolamento. La prima avvisaglia si ebbe sulla musica; una sera il ragazzone andò a prenderla con la sua carrozza. Chiuse lo sportello e la baciò, premendo play sull’autoradio da cui partì Zucchero. La Titti dovette chiamare a raccolta tutto il suo autolesionismo per tacere. Inoltre iniziava a parlarle in un modo strano della madre, con cui sembrava intrattenere un rapporto di amore-odio freudianamente morboso. Una delle ciliegine sulla torta fu apposta in ogni modo sulla questione bestemmia. Si badi bene, la Titti non moccolò, usò bensì la cortesia di tastare il terreno, onore che avrebbe riservato solo a Elvis, Mandela, Gino Strada e agli All Blacks. Informò semplicemente la controparte che era solita imprecare e che ciò l’aiutava di non poco a condurre questa misera vita di anime in pena. Lui inorriditò buttò la uno scandalizzato:

“Ma come? Le bestemmie in bocca a una ragazza sono bruttissime!”

Lei questa volta, supportata dal femminismo, dalle radici toscane e dal cocktail appena trangugiato rispose al fuoco senza esitare:

“Ah si, i’ddio e la maddona no ma i’cazzo si?! Che discorsi sono???”

Sapeva di giocare in casa consapevole della predilezione del fidanzatino del rapporto orale, dato che la sera prima, nello srotolargli un preservativo con le labbra, lui era quasi venuto sul colpo; le parve quella una bestemmia e un insulto gratuito allo Sommo, che con ingegno e delizia aveva dotato gli umani di tante gaudenti possibilità, e che appunto tenere in bocca la trinità o tutti i santi non le sembrava poi peggio di tenerci un pene. Dato che di bocca si parla non riuscì a tenerla chiusa. Preferiva di gran lunga i rapporti anali all’ipocrisia: almeno sai qual è la storia.

Ma la vera goccia che fece traboccare il vaso, il vero petardo fu acceso poco prima che bussasse alla mia porta. Il fanciullo era spesso rintanato in casa per preparare uno degli ultimi esami in vista della tesi. La Titti quella mattina propose un fugace caffè nel bar vicino casa di lui che non lo avrebbe distratto troppo, ma che per lo meno avrebbe concesso un brevemente languido incontro. Romantico! Lo vide sorgere dal portone, nella sua gigantica colossaltà in tuta grigia; ormai tutto aveva preso lo stesso colore, anche la pelle. Era ingobbito, aveva la forma dei ginocchi nei pantaloni, insomma un uomo alla fine. Era speranzosa che, se non un suo bacio -troppa grazia - almeno il caffè l’avrebbe rinvigorito. Al bar, lui la aspettava cupo al tavolino con le brioches in mano, lei avrebbe portato i cappuccini . Si voltò con le tazze in bilico; lo guardò; sembrava un grande grizzly. Fu a quel punto che si chiese che cazzo ci stava facendo lì. Iniziò il carosello mentale con la voce di Piero Angela che illustrava le qualità del quadrupede, il letargo e la stagione degli amori, si riebbe alla frase “insieme al Kodiak è uno dei più grandi carnivori viventi”. Ebbe una vertigine, ma riuscì a non versare neanche una goccia di caffellatte. L’istinto fu quello di cambiare tavolo, ma restavano una mamma con passeggino e un ottantenne con bastone, e poi aveva la sua amata brioche da mettere sotto i denti, si fece forza, ignara che il bello dovesse ancora arrivare. Fecero colazione in silenzio, lui era in ansia date le scadenze accademiche; con piglio nevroticamente schizzato e con tutta l’aria di chi avesse bisogno di farsi un bel giro le chiese di portarlo - la macchina era della Titti - via da lì per una passeggiata; la Titti, rispettosa degli altrui impegni non l‘avrebbe mai proposto, ma venendo da lui la richiesta sgommò felice verso il centro, dove doveva sbrigare alcune cose. L’incastro si presentava propizio e avrebbero preso 2 piccioni con una fava. La strada si presentò subito trafficata e presto si ritrovarono incarcerati nel traffico mattutino di un qualsiasi giorno feriale. A metà percorso il cellulare di lui avvisò con un trillo dell’arrivo di un messaggio; lui lo lesse immediatamente; era la madre: “Torna a casa, devi studiare, poi sennò sei nervoso”, lo lesse ad alta voce. senza nemmeno il riguardo di tenerselo per sè. Andò nel panico e pregò un’esterrefatta Titti di accompagnarlo di corsa a casa; lei lo accontentò per pena, urlandogli per tutto il viaggio che se fosse stata furba l’avrebbe lasciato lì dove si trovavano. Precisiamo che il maschione ha 27 anni suonati. La conferma che ormai da uno così c’è poco da sperare avvenne con un ulteriore sms che questa volta arrivò sul cellulare della Titti: la sera avrebbero dovuto svolgere un turno di volontariato nella galeotta associazione, già fissato da tempo, lui la avvertiva che non sarebbe andato. Lei partì in tromba e lo chiamò per suonargliele 4, facendogli notare che il suo era un comportamento del tutto irresponsabile e che una persona non poteva circolare a 27 anni in quelle condizioni.

“Come si fa a vivere tranquilli in quelle condizioni? A essere in pace con se stessi, a guardarsi allo specchio senza sputarsi?”

Mi chiede retoricamente la Titti dalla poltrona una sigaretta in una mano, il Vermuth nell’altra.

“Non credo sai - le confesso - che lui stia molto bene, e lo sa”

“Ma cosa sa? Quello dice che vuole andare via di casa, ma il problema è che quel cordone ombelicale non lo taglierà mai. Io e te eravamo fuori già molto tempo prima di fare i bagagli e varcare la soglia di casa dei nostri vecchi”

“Si, ma lo sa che non riesce a stare da solo. Stagli alla larga Titti”

“Lo puoi gridare forte. Ho sentito LaMarysa, dice che stasera secondo lei passerà”

“?”

“Mi farebbe incazzare come una bestia”.

Le sorrido, continuiamo a parlare, le racconto del mio imminente viaggio a Stoccolma, della mia stanchezza fuori luogo ma presente. Lo sa che cambiare 4 lavori in 365 giorni sarebbe tanto anche per lei e comunque sempre meglio che non lavorare di questi tempi, ed è così che mi ritrovo spossata quando vorrei essere sprizzante. Quindi viriamo sugli uomini, queste croci e delizie che ultimamente sia a me che a lei non danno tregua. Lei insiste, torna sul grizzly e me la ritrovo qui incazzata e mordente, ma vorrei dirle: non puoi iniziare dalla voglia dei fiocchi alle porte e poi cercarti un disgraziato che ti accontenti, per quello c’è la banca del seme; datti pace, vedrai che prima troverai un bischeraccio e poi i tasselli del puzzle andranno a posto da sè. Solo che suona il campanello. E’ arrivata anche LaMarysa e non sta nella pelle: deve raccontarci della nuova sauna che ha provato, e dove vuole portarci (in un nuovo post).

Quella sera, come volevasi dimostrare il grizzly comparve suscitando la rabbia della Titti, che avendo una tazza di cioccolata calda in mano, non si lasciò scappare l’occasione per lanciargiela in faccia. Se non altro il grigio del grizzly adesso era maculato.


Nota: Il Kodiak è una sottospecie dell’orso bruno diffuso nell’America del Nord, prende il nome da un’isola prospiciente l’Alaska ed è, appunto, il più grande carnivoro vivente.


Blogger Valle ha detto...

Grande, mi piace molto come ti esprimi! Magari sapessi scrivere anche io così i miei post!
Ciao!
Badgrass.

PS: vieni di nuovo a Stoccolma? Spero che ci rivedremo!

26 marzo 2010 14.23


Grazie Vale, e scusa se pubblico il tuo commento così tardi. Mi piacerebbe moltissimo tornare in Svezia, ma sei su tu?
Hej då

Congratulazioni! E’ nata Mary-Jane

Ringraziamo lo Sommo per sì tanta provvida ventura: nel prossimo novembre i cittadini californiani saranno chiamati alle urne oltre che per esprimere la loro preferenza su deputati e senatori di “midterm”, anche per palesare la loro opinione circa la cannabis che, finora destinata in quello stato a scopo esclusivamente terapeutico, potrebbe conoscere la tanto attesa e inflazionata in altri luoghi liberalizzazione. In caso di vittoria, sappiatelo, gli abitanti della pacifica costa saranno autorizzati a possederne fino a un’oncia (circa 30 grammi) del germoglio per uso personale e, attenzione, a coltivare il vegetale in proprio per uno spazio non superiore ai 25 piedi (2,3 m2). Il mio balcone ne misura meno.

Immagino, in caso di vittoria e per festeggiarla, l’incrimento all’anagrafe di San Francisco, San Diego, LA e compagnia del nome “Mary-Jane” per le femminucce, nonchè quello delle richieste di residenza e di carte verdi. Contenti sarebbero anche i tour operator non dovranno sbattersi solo nella ricerca di hotel ad Amsterdam, ma avranno un’alternativa.

E vissero tutti felici e contenti.

Inshallah.


PS

Con “California” nel presente bollettino s’intende la più remotamente occidentale striscia di costa degli States che si affaccia sul Pacifico e non la ridente località balneare della riviera tirrenica dal nome tanto simile al succitato stato americano.

. Il tradimeno digitale: e anche le corna diventano virtuali

A lanciare l’allarme è la stampa inglese, dai tabloid alle più autorevoli voci (vd. l’Observer): in antropologica previsione l’uomo adatta le corna al formato digitale.

Eh già, così come per la mezza stagione, anche per i tradimenti le cose non stanno più come una volta.

A quanto pare anche le scappatelle vengono zippate, è il caso di dirlo, tra mail, sms e messaggi sui social network. Chiaramente la tracciabilità di tali pratiche, rispetto alle tradizionali fuitine/incontri clandestini offre evidenti vantaggi ai fedifraghi di nuova generazione, e anche la flagranza di reato cambia i suoi connotati.

Ma d’altra parte che ci si deve aspettare quando capita di mettersi insieme o lasciarsi a suon di spippoli? E quindi, ovvio, anche tradirsi patisce la stessa sorte.

Resta ovviamente da provare la veridicità delle risposte ai questionari da cui successivamente vengono elaborate le statistiche.

Mi chiedo quindi se Apple e Microsoft stiano già pensando a programmi appositi, se, per quanto riguarda la seconda, sono già all’opera gli hacker nel confzionamento di virus digitalmete trasissibilli, se occorrerà un anti-virus o se verranno immessi sul mercato confortevoli condom per pc.


martedì 9 febbraio 2010

Attenzione: chewing-gum vaganti

Alla fine siamo tornati a vederli. Questa volta a Bologna, sempre loro, i Depeche Mode; dopo Roma, nell’Emilia, a noi più vicina, la tappa era doverosa. E a dire la verità parte della carovana si era organizzata anche per il profodo nord stoccolmese, ma ha trovando i settori più economici del Globen sold-out prima che la tournée fosse partorita dalla testa della band.

Gli inviati speciali erano la sottoscritta, ed Eule in versione Fra&Fra, dolcemente accompagnata da Iggor-i’Gori

La scena del delitto si è consumata all’infame Palamalaguti, già teatro di prodezze rock nostrane e foreste. Ne ricordo una serata del 2000 o del 2001, in compagnia degli Smashing Pumpkins, alla vigilia del loro scioglimento. I cancelli, con regolarità padana si aprirono alle 19, non un secondo di più, nè uno di meno. La massa che via via andava concentrandosi si riscaldava ai fumi del vicino hot-doggaro di turno, che chiaramente aveva rivisitazioni locali del panino statunitense; volavano piade peggio che al campionato mondiale di frisbee. E al rintocco dei sette colpi di campane il cancello si aprì e il magma umano si riversò nel palazzetto; con Eule entrammo urlando.

Localizzata una zona laterale ma prossima al palco, abbandonammo Iggor per il bagno. La solita coda lunghissima alla toilette per signore non ci fece desistere da ciò che dovevamo alla vescica e bastò un reciproco colpo d’occhio; cambiammo fila optando per il magno dei maschietti; in esso c’erano anche 6 orinatoi a muro. Non ci lasciammo intimidire. Altre ragazze ci seguirono; dapprima i ragazzi entrando rimanevano lievemente basiti, poi cimportauncazzo, evviva! Belli fuori e belli dentro, tutti insieme a fare tanta P P!

ritornate nella hall ci stupimmo di trovare tutti in piedi; normalmente il popolo del “prato” si siede e solo una mezz’oretta prima dell’ora prevista come inizio del concerto si alza e si accalca con compattezza concorrenziale alle scatole di sardine. Nel frattempo si intrattiene con classiche attività come parole crociate sulla settimana enigmistica, rassegna stampa da La Repubblica a Play boy, ingestione di cibarie e varie altre sostanze, soprattutto per via inalatoria, bisboccia con alcoli tra cui il primato spetta al succo di malto e luppolo, ascolto con cuffie o in filodiffusione esclusivamente di brani della band protagonista delle ore a venire. Tutto questo al palacazzuti non fu possibile, tutti -come entravano- si accalcavano. I panini vennero consumati in piedi, a 15’dall’ora x... iniziò il concerto che avevo ancora una fetta di salame sull’ugola. Inoltre, fiduciosa del tempo del bivacco, mi ero portata il vitto in un fighissimo sacchetto di carta, che si rivelò, di lì a poco, fatale...

Finalmente il concerto ebbe inizio. La scaletta non fu cambiata di uno spillo, sebbene, al solito Martin Gore non si sarebbe perso nel bosco (Valetudo docet), ricoperto com’era di brillanti... anche l’auricolare sfavillava sotto riccioli, e Dave ci deliziò con i suoi abituali movimenti pelvici... Mi chiedo se quell’uomo sia consapevole di quello che rischia.

Tuttavia l’andazzo che si era preannunciato con l’abolizione del ricreativo pre-spettacolo si riconfermò nei fatti, che dimostrarono l’alta concentrazione di ragguardevoli testedicazzo; ringraziai quella sera mamma e babbo e i miei geni in crossing-over per non i avermi fatta alta, perchè avrei tirato tante testate; a dire il vero ai concerti avere qualche cm in più mi avrebbe giovato da cui le sempiterne speranzose teorie, costantemente ripetute ad ogni session, della disposizione plateale in base all’altezza, ogni volta contraddette dalla pratica che invece rivelava vincente la già tristemente nota e più volte menzionata “Legge di Murphy”: se una persona più alta di te esiste nel raggio dei 5 m che ti circondano, sarà davanti a te che si piazzerà in placida e ferma stazionarietà, godendosi lo show alla facciaccia dei minor centimetrati. In quell’occasione, a degna celebrazione dei nostri grandiosissimi synth pop, la murphiana legge raggiunse l’apice facendosi largamente beffe degli astanti in coerenza con il british humor importato dal gruppo; ebbene a scassà non ci furono solo i soliti intelligentoni a passare su e giù a più riprese, ma anche un gruppo di tre sgrillettanti fans, subito catalogate come troje dal curriculum particolarmente ricco alla voce bocchini e pratiche di sesso estremo. Le zoccule, sia con gomito che con zizza ingerente - a seconda che si trattasse di un uomo o i una donna a cui si strofinavano - si fecero largo, ma con noi non attaccò. Ne passò solo una, la biondina con coda di stoppa che -irosa per essere stata divisa dalle sue colleghe- cercava, muovendo la testa istericamente, di piazzarci le ciocche in bocca ad ogni occasione nell’intento di spedirci al creatore per soffocamento. A quel punto chiesi ad Eule i chewing-gum, che iniziai a masticare fino ad avere la salivazione di un boxer in calore, a quel punto mi dedicai a decorare l’acconciatura del puttanone con la gomma, che però resse poco, colpa della troppa saliva e dello “sugar free”, quindi necessitò approntare una nuova strategia; Il lampo di genio fu di Eule che propose di bersagliare la maglietta: se non fu costretta a tagliarsi le chiome per lo meno dovette buttare la maglietta.

Intanto a terra si era prodotto un liquame meglio noto come “merdaio” che corrose il mio sacchetto-mensa e quando lo sollevai si sfondò nella parte inferiore: le lingue di gatto avute dalla nonna furono perse per sempre, ma si salvò il kilo di mandarini debitamente incellophanato nella plastica. Si rivelarono utili placatori dell’incendio delle nostre gole a fine spettacolo.

Ma soprattutto, non s’era detto d’ora in poi di stare sugli spalti?