giovedì 18 settembre 2008

Gomitoli impertinenti

Avrà avuto 7 anni ed era una peste. Lo chiamavano Dodò come il pappagallo che aveva a casa. Non tanto per la somiglianza col pennuto, ma per l'abitudine a imprecare che condivideva con l'animale, e che già ampiamente aveva sviluppato a tre anni, quando diceva ancora poche parole ma scandiva le bestemmie in maniera impeccabile e questo gli derivava apunto dalle ore di gioco col suo uccellino, che era stato recuperato da una casa del popolo; il volatile era normalmente alloggiato nella sala fumosa dove i compagni avventori giocavano a carte e in cui le frasi più ricorrenti avevano poco a che vedere con il francese dei croupier, ma chiamavano in causa santi e madonne. La bestiola le aveva imparate a meraviglia e in casa le riproponeva. Era il tempo in cui i giocattoli si facevano in casa, in cui si prendevano due assi e con due ruote messe in croce si faceva la macchinina, e via giù dalle discese più ripide. Quel giorno Dodò tornava dal fiume, dal sentiero che sbucava proprio alla sua porta di casa. La vicina, la sigonra Lina, stava, come era solito, lavorando ai ferri; davanti alla porta di casa aperta, dava le spalle alla strada e dunque al sentiero; aveva uno scalino davanti su cui appoggiava le gambe, tenendosi in equilibrio dondolante sullo schienale, a contrasto. Proprio menre il nostro discolo risalendo l'erta del sentiero sbucava con i suoi occhietti sulla strada il gomitolo giallo sfavillante che Lina teneva in grembo zompò sul corridoio, perdendosi nel buio della casa. Non è dato sapere se ciò avvenne per un tentennamento troppo forte o se il gomitolo si fosse suicidato (delle cosce tornite che in tempo di guerra facevano girare la testa di partigiani e soldati all'unanimità, non restavano che varici settantanovenni; c'è la sua differenza che neanche alla lana gialla sfuggì), in ogni caso la Lina dovette alzare le sue mele renette e prostrarsi in direzione del gomitolo, "quel serpente!"- che s'era allontanato, assumendo la posizione che chiamereo "del cane che fiuta". Dodò emerse dal pantano e la prima cosa che vide fu il culone della Lina; la cosa era troppo ghiotta: non potè fare a meno che levargli la seggiola di sotto; la poverina, credendo di trovarla invece dove l'aveva lasciata, recuperato saldamente tra le mani il gomitolo come un pompiere un gatto arrampicatosi su un grattacielo, si lasciò andare all'indietro sicura si far atterarre le chiappe sul legno domestico; la legge di Newton fece il suo lavoro e la Lina finì a gambe ritte; il marito, che stava giungendo dalla parte opposta a quella di Dodò sì gustò la scena e, soffocando dalle risa, non si curava assolutamente delle istanze della sposa, che con voce tremante lo implorava:
"Bruno, piglialo! Piglialo Buno!"

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