martedì 31 maggio 2011

MNT - Le Magiche Notti della Titti

Vedere Il Grande Lebowski dopo più di 10 anni dall’uscita a un cineforum dove avrebbe potuto sdraiare le gambe sulla poltroncina antistante ed esternare liberamente il proprio concetto di “rutto libero” sorseggiando coca era una prospettiva troppo allettante per la Titti.

Era un periodo in cui aveva bisogno di rilassarsi, dato che sia il lavoro che le avventure in cui si cacciava non avevano che la scialba parvenza dei tempi andati… erano cambiati i tempi? Era cambiata lei? O le persone che la circondavano? Le sue esigenze? Sapeva davvero ciò che voleva? Sentiva solo con certezza che c’era aria di cambiamento.

Dato che l’ultima notte a lavoro era stata esilarante, voleva proseguire su questa linea e non appena seppe della proiezione, oltretutto vicino casa, si precipitò all’evento. Ma anche qui ebbe conferma sugli interrogativi che le circolavano in testa. Non sulle frasi, ma sul segno d’interpunzione, un gran punto interrogativo gigante che sovrastava tutto.

Tuttavia merita fare una digressione su quello che era stato il suo ultimo, surreale e strampalato turno di lavoro. Aveva concluso che, sebbene ci fosse accordo unanime sul fatto che le unghie dovessero essere colorate -mani e piedi- in base agli ultimi dettami della moda, a tutto c’era un limite. L’epoca della French era arrivata agli sgoccioli, era forse questa l’aria di cambiamento che sentiva? Continuava dubitarne, a dispetto delle prove. Lo status quo: tutte, ma anche alcuni, si coloravano le unghie e non perdevano occasione di farlo, non c’erano più frontiere. In macchina ai semafori rossi, nello spogliatoio in palestra, al ristorante per i ritocchi e a lavoro. A lavoro, appunto. Quella notte scorreva abbastanza tranquilla. In genere ciò non si ammette neanche a noi stessi per una questione di pura scaramanzia, finchè almeno non scocca l’ora di fine turno e non hai dato le consegne al collega che arriva. Ma onestamente andava riconosciuto: tutti sedati a dovere, non volava una mosca. Le colleghe con la faccia ipocrita da prima comunione chiesero alla Titti se avesse bisogno d’aiuto.

“Guarda ‘ste puttane” pensava la Titti, “mica te lo chiedono quando la gente chiama davvero. Furbe.”

Poi invece una mosca volò e qualcuno chiamò. Non ce la poteva fare da sola. Eppure, improvvisamente, sembrava parlasse ostrogoto. Non le trovò nemmeno in cucina, a fumare l’abituale sigaretta, “l’unica cosa che riescono a prendere in bocca”, si diceva, successiva al sempiterno caffè, ma direttamente nello spogliatoio dove tenevano poltrone per alzare le gambe; e adeguatamente a gambe ritte erano. Stavano armeggiando con un macchinario che faceva le unghie, taglio, limatura, tutto insomma; avevano mani e piedi tirati a lucido con la nuance all’ultimo grido; come potevano, anche se avessero voluto, andare a darle una mano? Non le chiesero, come ne Il grande Lebowski appunto, di soffiare sullo smalto perché il marchingegno asciugava pure.

“E mi chiamano anche Miss Perfezione… quando esco da lavoro senza andare in galera sono contenta!” Rimuginava tra sé e sé la Titti.

Buttò là un “Accipicchia come siete professionali!” di cui le zelanti lavoratrici non colsero il sarcasmo, dette loro le terga e si arrangiò, come sempre.

Chiaro. Dopo una notte così, aveva bisogno di svagarsi x una sera, con un film, una bibita portata in sala di contrabbando e la visione del grande Jeffry “Jeff” Leon Bridges, maschio, bianco, nato a Los Angeles il 4 dicembre 1949, sagittario (suo ascendente quindi perfetto), protagonista di molti film prodotti su pellicola o mentali della Titti stessa, dove la nostra scatenava le sue più sfrenate fantasie muliebri, carnali e spirituali; con ciò definiva Jeff un artista “completo” perché appagava le sue lussurie cardinali e teologali, perché di virtù certo non si poteva parlare, tutte rami dello stesso albero. Aveva indossato il top e le scarpe nuove, per il suo Drugone Lebowski; delle mutande aveva deciso che non aveva bisogno e il’immancabile trench da esibizionista, per darsi un tono. Questo capo si rivelò la sua ancora di salvezza. Al varco infatti non trovò il pigrissimo biondazzo, ma un tricheco di una cinquantina d’anni con un’alitosi stravolgente che le attaccò un gancio perfetto, nel senso che era intessuto in modo che la Titti sarebbe risultata maleducata se lo avesse spedito subito dove più desiderava, ma dove non possiamo dire, tanto ve lo immaginate… Cercò di divincolarsi con garbo con la scusa della toilette, ma lui la aspettava. Mirando la tazza pensava a come fare. Si prospettava la rovina della serata tanto attesa. “Accidenti a questi stronzi che si vogliono atteggiare da intellettuali, voglio stare in pace, io e Jeff e basta stasera, guarda te che mi doveva capitare”. E tutto il contrario da che si aspettava fu. Il tricheco marcava a uomo, le si sedette accanto, ma per lo meno la Titti si guadagnò l’uscita. Il posto lo scelse lei, lui la seguiva. Cercò di mettersi abbastanza lontana per fargli dispetto dato che era occhialuto. E poi si chiamava come il suo ex.; mica come Jeff. Prima che attaccassero a proiettare aveva già scoperto, non per sua volontà, ma per la logorrea da cui fu investita ovviamente, che il compare aveva già un’anca in titanio. “Ci avvantaggiamo coi tempi” Pensò” “Il viagra però lo prende sicuramente da sempre; senza questo come fa???”. Pensava tutto questo mentre lui cercava di stordirla; poi notò che la camicia, a quadretti arancio, era intonata con i calzini. “Qui siamo alla psicopatia. Questo sta peggio di me”. E mentre lui si sbracava sempre di più, cioè faceva ciò che in origine voleva fare lei, si ritrovò appollaiata sul bracciolo contro laterale, come un falcone, e aspettava il momento buono per spiccare il volo. Si finì di abbottonare il trench accusando fantomatici brividi. Jeffrey non avrebbe mai goduto delle sue grazie, tutto era andato in fumo. Ma qualcuno miracolosamente ascoltò le su preghiere: fecero l’intervallo. Dichiarò di dirigersi al bagno, senza dare possibilità di replica, ma invece della strada per i servizi imboccò quella dell’uscita e tirò il sospiro di sollievo dirigendosi verso a casa a passo spedito. Passo dopo passo cresceva anche il malincuore, di aver lasciato Jeff nelle grinfie di un tale pubblico. Era una sensazione strana, doppia, ambivalente, ma cosa non lo è del resto?

“Possibile che una ragazza non possa andarsi a vedere un film in pace da sola???” e a quel punto se anche voleva imbroccare qualcuno, con quell’articolo accanto ogni sforzo sarebbe stato vano.

Dopo due serate passate a questa maniera alzò bandiera bianca: la vita era troppo strabiliante, riusciva ancora a stupirla e questo non era male. Voleva stare a guardare per un po’. Ovviamente dalla tribuna d’onore. Era pur sempre la Titti.

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