venerdì 3 febbraio 2012

Ich bin die fesche Lola: due bisbetiche indomate a Berlino. Prima e dopo

Nach: 12 Settembre 2011

Aspetto il check-in per Francoforte. Gate A-9. Isil se n’è andata presto, doveva raggiungere l’aeroporto di Schönefeld per spiccare il volo verso la Scandinavia. Io invece ho avuto tutto il tempo per rotolarmi ancora un po’ nel letto (dopo averla salutata naturalmente), andare a fare colazione e fregare due panini per il pranzo, ma che alle attuali 10.05 ho già consegnato ai succhi gastrici, e dirigermi verso Tegel col TLX; al seguito l’immancabile valigia cargo, sempre troppo pesante e colma di fandonie. Si chiude il cerchio. Ripercorro al contrario la Berlino di una settimana fa. Si parte da Alexaderplatz, entrando gloriosi in Undert den Linden, un saluto veloce alla Porta di Brandeburgo e poi via verso la colossale e futuristica Hauptbahnhof, in ferro e vetro dove arrivano treni, metro, donne, uomini, vecchi e bambini, oppure partono, insomma dove c’è un gran via vai. Dopo ci si intrufola nell’Alt-Moabit, costeggiando il vasto Justizvolzugsanstalt Moabit, il carcere in cui furono reclusi Erich Mielke, ultimo capo della STASI, e i terroristi della RAF (Rote Armee Faktion), Ulrike Meinhof e Andreas Baader.

Questa settimana è scorsa veloce e fulminea, in proverbiale stile vacanza. Eppure ci è sembrato passato un secolo. La città ha consumato nelle suole, rimpinzate nello stomaco e nella cellulite e appagate nel cuore e nei neuroni, senza farsi minimamente scalfire.

E’ un luogo che è stato più volte sventrato da guerre, diviso dal muro dal 13 agosto 1961 al 9 novembre 1989, quartier generale della morte di dio, ma anche della “svolta” degli uomini. Come si è chiesta Isil, “Come si fa a non avere rispetto per questa città?”. Ti rapisce, ma resta inesauribile. Cito sempre Isil, è “policentrica”. Varrebbe un viaggio per ogni quartiere, bisognerebbe viverci per capire tutto ciò che ha da offrire e anche questo non basterebbe.

E’ stata una settimana densa di passeggiate, viaggi sulla metro /tram/bus, sotto la pioggia e il vento o sotto il sole e il caldo. Volti, luoghi, acconciature impossibili, coraggiosi esperimenti del guardaroba, storia, arte, cultura, mercatini e torte.

Il tempo è volato via, ma si è anche dilatato, nel potere lisergico di un’amicizia duratura dalla verve intatta di 10 anni fa.

Una delle costanti del soggiorno è stata il rossetto rosso, indossato in onore (di Elizabeth Arden e) delle Suffragettes che lo usavano a vessillo della loro indipendenza, ma non possiamo tralasciare le parolacce e le bestemmie, che sovente hanno condito il nostro eloquio.

Ich bin die fesche Lola: due bisbetiche indomate a Berlino.

Während: 5 Settembre 2011

E così finalmente sarei nell’agognata condizione vacanziera. Oggi si parte. E m’importa un fico secco del resto del mondo. Oggi ci siamo io e il mio viaggio a Berlino. Cazzo.

Bugia; quel sant’uomo del Vallosballo che mi accompagna all’aeroporto lo sa. L’essere con lui lì, mi rende protagonista del corto “Kleenex a Peretola - quando un piccioncino vola e l’altro resta a terra”.

Un uomo? Ebbene si! Abbiamo due correnti di pensiero in proposito:

1) Il Vallosballo è un monaco buddhista che, in quanto tale, riesce a sopportare le mie nevrosi, ma ha dovuto sciogliere il voto di castità.

2) Il Vallosballo è il caso della mia futura tesi in Criminologia. Siete tutti invitati alla discussione.

Questa seconda visione viene avvalorata soprattutto quando, presentata ai di lui amici, essi mi si fanno incontro scuotendo la testa, talvolta anche abbracciandomi compassionevoli. In ogni caso, ci si trova a fare il contrario di ciò che uno si sarebbe mai aspettato ed ecco spuntare il kleenex all’aeroporto, perché anch’io, pur avendo l’andatura di Rumenig e bestemmiando più di uno scaricatore di porto, in fondo in fondo ho un cuoricino tenero. In fondo.

Il Vallosballo, con le braccia che si ritrova, oltre ad essere un perfetto luggage-assistant, mi ha aiutato a calibrare il peso della valigia. E’ nota la mia incapacità assoluta nel confezionare bagagli leggeri. La mia valigia è grande e pesante, è un dogma. Ci provo tutte le volte, ma non c’è niente da fare, ne sa qualcosa la mia schiena. Appena chiusa la valigia ho chiesto al Vallosballo cosa ne pensasse.

“ Dio bono, che devi stare via un mese?”

Ho deciso di togliere gli smalti e qualche maglia, dato che Valetudo ci aveva assicurato che il tempo di Berlino era identico a quello toscano ( e parlava con cognizione i causa essendoci stata l’anno precedente in un periodo simile), ma l’ho presa un po’ troppo alla lettera, dato che vive ad altitudini più fresche. Poi mi son fatta coraggio e ho tolto anche un paio di guanti e una sciarpina. Il Vallosballo mi ha guardato scoraggiato. E’ stato in quel momento che ho visto spuntare un’aureola dietro la sua testa.

Al check-in la bilancia segna 19,8 kg. Poi viene l’ora del metaldetektor. Coi baci di saluto avevo scordato una bottiglietta d’acqua nello zaino. A quel punto vogliono vedere tutto. Cerco di scoraggiarli trangugandomi tutta l’acqua d‘un fiato ed esplodendo in un prevedibile rutto, niente da fare. Le guardie non mollano. Dio onnipotente. Andata. Mi lasciano accedere alle porte d’imbarco. Respiro forte, ci siamo, si parte.

Durante il viaggio leggo a manetta la guida, rigorosamente una Lonley Planet. I due mesi in cui avevo avuto tutto il tempo di farlo se ne sono volati tra salti-riposo, spiaggiate e km dalla città alla costa, e quindi eccomi all’ultimo minuto. In realtà l’avevo già consultata per il viaggio del 2008 con Valetudo, ma dato che non mi ricordo cosa ho mangiato ieri sera, posso mai ricordarmi cosa avevo letto 3 anni fa?

Atterro a Berlino al tramonto, il cielo è aperto giusto a ponente, una figata pazzesca. Col TLX raggiungo Alexanderplatz e da lì mi fiondo in metro, la U-Bahn come la chiamano da queste parti, per raggiungere, con la U-5, Frankfurter Tor, la fermata dell’Ostello. Riemergo. Me la ricordavo ancora bene. Imbocco la Wrschauer Straße e giro alla seconda a sinistra in Grünberger Straße. E qui è il finimondo: sirene spiegate, Polizei, 112 e Vigili del Fuoco. Pensando a Isil, mi dico:

“Brava la mia piccola piromane!”

Presumibilmente doveva già essere all’ostello, punto esatto in cui i mezzi di soccorso si accalcavano. E invece era il palazzo di fronte. C’era un gatto su una grondaia che non riusciva a scendere.

Entro all’All-in-Hostel; l’altra volta ero con Valetudo. Ci siamo trovate bene qui, tanto che lei l’estate scorsa ci è tornata con Bourgugnon e io ci sono adesso con Isil. E’ il nostro Hilton. Al desk mi spiegano che posso prendere l’ascensore. Occhio, perché qui son precisi con le parole: “posso”, ma non “devo”, se voglio sfondarmi le vertebre col cargo su per le scale a chiocciola non devo che accomodarmi. “Posso”, non “devo”. Mi dirigo verso l’ascensore. I numeri dei piani erano sfalzati. Così schiaccio 3, che è il 2, perché a me serve il 2 che però è l’1. Pronta per la tombola esco dall’ascensore e opto per la chiocciola. Girello su e giù per il corridoio, finchè non scovo la stanza. Busso, silenzio. Inserisco la Key-card (nel mondo civilizzato le chiavi non esistono più) ed eccomi arrivata. C’è qualcosa che non mi quadra: 6 letti e nessuna traccia di Isil. 2 indizi fanno una prova. Scendo furiosa alla Recepcion, senza mai abbandonare la cargo.

”Perhaps there’s a mistake”

Ruggisco. E invece il mistake non c’era. Ciò che non c’era erano le camere doppie, era rimasta solo una cameraten a 6 letten, e io che credevo che avessero capito che abbiamo gli amici immaginari e le triple personalità (3 e 3 fa 6 a casa mia)!

Ma Isil?

Torno su. Proprio mentre sto per chiamarla, pur sapendo che il suo telefono in Germania faceva cilecca, eccotela armeggiare alla porta. E in realtà mi accorgo che tracce di lei ce n’erano a bizzeffe, solo che con i letti a castello chi le aveva notate? Chi altro poteva leggere una rivista di art & design in svedese?

Abbraccio pitonesco.

Gioia di rivedere chi non vedi da molti mesi, troppi.

Quando ti incontri così è un lusso dire “a domani”. Cose normalmente banali acquisiscono un sapore eccezionale. Che cosa impagabile darsi appuntamento in centro a Berlino!

Siamo stanche dal viaggio. Isil peggio di me, dato che si è alzata alle 3.30 del mattino. Ma siamo cariche di adrenalina e soprattutto affamate. Friedrichshain offre pane per i nostri denti. Basta scendere in strada, pullola di posti dove sfamarci. A soli 20 m troviamo un posticino dove fanno i Wurst, panini col wurstel. Ce ne sbafiamo 2 a testa, con un Apfelschorle a mezzo (succo di mela gassato), per una spesa di 5 euro a testa. Chi ha detto che Berlino era cara? Rientriamo in ostello quasi subito, per una pesante dormita, contro cui neanche le danze reggae al piano superiore di una scolaresca in tempesta ormonal-demenziale hanno potuto nulla.

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