venerdì 3 febbraio 2012

Ich bin die fesche Lola: due bisbetiche indomate a Berlino. Während: Giovedì 8 settembre 2011

E fu Pergamon. Quando si ha poco tempo e si è costretti a scegliere un museo solo, sicuramente a Berlino tocca al Pergamon, parola di Isil, che –lasciate fare- di musei è una vera intenditrice. Si tratta di un trionfo di arte e architettura proveniente dagli scavi condotti dagli archeologi tedeschi agli inizi del XX secolo. Fa parte del complesso del Museum Insel: sulla Sprea si trova un isolottino, su cui –x altro- nel XII sec. sorse il primo insediamento di Berlino. L’isola racchiude un complesso composto da 5 musei (Alte Nationalgalerie, Altes Museum, Neus Museum, Pergamon Museum e Bode Museum), dichiarata sito patrimonio dell’umanità dal’UNESCO nel 1999. E’ frutto della moda che si diffuse tra le famiglie reali europee alla fine del XVIII secolo di aprire al pubblico le collezioni private; basti pensare al Louvre di Parigi, al British Museum di Londra o al Prado di Madrid. Ti pareva che a Berlino Federico Guglielmo III e i suoi successori volessero essere da meno? Si tratta di collezioni che permettono una delle esperienze museali più esaltanti al modo. Tutti e 5 insieme sono letali, sindrome di Stendhal in agguato, occhio.

Il Pergamon è un complesso gigantesco ultimato solo nel 1930, anche se transenne e lavori lo circondano sempre, nella verve prolifica che caratterizza la città; è una roba titanica. Sotto lo stesso tetto accoglie tre importanti collezioni: Antichità Classiche, Antichità del Medio Oriente e Arte Islamica. Musei nel museo, che megalomania ‘sti crucchi!

Il reperto principale, da cui prende il nome il museo è la ricostruzione dell’Altare di Pergamo (165 a. C.) proveniente dall’Asia Minore, per la precisione dall’odierna città turca di Bergama. Si tratta di un gigantesco santuario intitolato a Zeus, con una scalinata che conduce a un colonnato a ferro di cavallo: lungo tutto lo zoccolo sono scolpiti fregi incredibilmente vividi, raffiguranti episodi della gigantomachia, la lotta degli dei contro i giganti. Entriamo. Cuore in gola, ciccia di gallina; è colossale, immenso, mitologico. Un plastico ne mostra la ricostruzione e i rapporti col resto della città. Saliamo i gradini dell’altare, cerchiamo di immaginarci il panorama che fu. Ma ci sono orde di scolaresche interessate ad essere ovunque tranne che lì che ci richiamano pesantemente alla realtà.

Tornata a casa, Isil scoprirà che il grande cilindro all’entrata del Museo è un’installazione che offre, da ottobre 2011 a ottobre 2012, un’esperienza visuale della città. Abbiamo sbagliato mira di un mese, per tutti i Tridenti di Poseidone!

Dopo l’Altare di Pergamo si accede a una sala in cui si eleva la Porta del Mercato di Mileto.

Risale al II secolo d.C., un capolavoro di Architettura Romana. La porta ci permette di varcare il confine con la collezione del Museo di antichità del Medio Oriente. E Babilonia, sbalziamo di 6-7 secoli indietro e come per incanto ci troviamo di fronte alla Porta di Ishtar, un gioiello cobalto che svettava nel deserto… Non ci è difficile immaginare cosa significhi “miraggio” di fronte a tanto splendore. I tedeschi hanno depredato e ricostruito anche la Via della Processione che dalla porta conduceva alla Sala del Trono. I plastici mostrano che la città era fortificata da 3 livelli di mura. Ci accompagnano leoni, dragoni e cavalli, tra le principali divinità ai tempi di Nabucodonosor.

Seguono gli impressionanti bassorilievi in argilla del Tempio di Uruk, che ricordano il sussidiario delle elementari, e più o meno come epoca siamo li.

Siamo sature, in sovraccarico cognitivo, ma non possiamo perderci il Museo di Arte Islamica, al piano superiore. Le miniature hanno colori vividi, e soprattutto c’è la Sala di Aleppo, proveniente dalla casa di un mercante del XVII sec., le cui pareti sono interamente rivestite da pannelli di legno copiosamente decorati.

La mente è sazia, ma la pancia no. Scegliamo di tornare dal re delle cotolette, il Welt Restaurant, dove ormai siamo di casa. Ciò offre anche il vantaggio di non farci sbattere a cercare nuovi posti sulle cartine. La nostra inoltre è una ricerca: vogliamo capire come fanno i Käse Spätzle qui.

Siamo su un altro pianeta. Dato che ci siamo proviamo anche il Kaiserschmarn (spero di averlo scritto correttamente). Siamo fermamente convinte che gli dei ci puniranno se non proviamo questo dolce in auge alla corte austriaca e accompagnato da una composta di prugne. Mai sia che ci attiriamo l’ira divina. Troviamo una mediazione con la nostra indole che ci avrebbe sicuramente tenute alla larga da quella diabolicamente squisita leccornia optando per una porzione piccola divisa a metà. Si tratta di una torta semplice appena cotta, semisciolta, cosparsa di zucchero a velo. Nn è descrivibile sulla carta, è un paradosso che una cosa così semplice sia altrettanto buona; al Welt la servono preparata espressa. Piove. Allora ci sta anche il caffè, un caffè vero, in tazzina dal bordo spesso, come pochi ne ho bevuti anche in Italia.

Alzarsi è una guerra punica, ma in qualche modo riusciamo a trascinarci alla Metro, verso Warschauer Str. Per andare a prendere il Ring, con un altro paio di collegamenti ferroviari. Con quella balla da cibo e birra i collegamenti sono aumentati, c’era da immaginarselo. Fino a Warschauer Str. Tutto bene. Da lì prendiamo l’S75, il treno, per raggiungere Ostkreuz. O almeno così credevamo. Ma il treno si mette in marcia nella direzione contraria. Che gli prende? Panico. Siamo sedute tra biciclette, cani e passeggini. Tutti educatissimi e muti, non vola una mosca. Per fortuna ci eravamo aggiudicate un posto a sedere. Subito rovistiamo nelle borse in cerca di una mappa dei trasporti. Isil, con la sua vista da falco, riuscirebbe anche a sbirciare in quelle appese due vetture più là, ma io assolutamente no. Cerco l’S75, Warschauer Str. E mi accorgo che, per la modica cifra di 13 fermate, riusciremo comunque a raggiungere in nostro Ring, sempre che si scenda a Westkreuz. Giochiamo con i punti cardinali. Sorpresa e contenta esclamo:

“Ma noi gli si va ni’culo!”

Isil scoppia a ridere, non riusciamo a trattenerci, ci sbellichiamo fino alle lacrime. Gli astanti, crucchissimi e impassibilissimi ci guardano, non so decifrare con quale espressione. Attraversiamo la città in sopraelevata. Alla fine è stato meglio così, la striamo attraversando orizzontalmente da est a ovest e poi le gireremo intorno. La Torre della Televisione di Alexander Platz domina incontrastata da ogni dove. Riusciamo a localizzare anche Muji, un giapponese luogo della perdizione che vedrà aprire i nostri portafogli più tardi. A dire il vero ci saremmo catapultate dal treno, non fosse stato per quel reggimento di grassi e proteine che mettevano a ferro e fuoco il nostro stomaco e che quindi ci faceva perdere fiducia nelle nostre possibilità ginniche. Piove e c’è il sole. Passandoci ci accorgiamo che Berlino Ovest è più anonima. Ha tratti rintracciabili anche in altre gradi città, mentre di Berlino Est ce n’è una. E alla fine raggiungiamo Westkreuz, e becchiamo il Ring per la nostra ora di culla su rotaie. Facciamo il giro in senso orario. Non ricordo a che fermata, sale un ciccione strabico e pelato e si piazza davanti a noi. Ha dei tatuaggi sbiaditi. Guardandoli meglio se ne rintracciano i tratti di simboli nazisti, come croci, aquile e quant’altro. Isil, con la sua somatica ariana è spavalda, io invece con la mia mediorientale spero solo di non doverci discutere. Fa bene lei, ha vinto la lotteria genetica e pensare che non s fa mai fare foto, quella grullerella! Se ne riparlerà quando a 70 anni si lamenterà di non avere foto di quando era giovane, e lo stesso vale per Valetudo. Mi fanno fare certe acrobazie per realizzare scatti di cui non si accorgano! E invece poi mi beccano sempre, perché ho la grazia di un ippopotamo.

Scendiamo illese al punto di partenza, abbiamo fatto un oroboro. La digestione è avanzata. Mentre andiamo verso la metro per raggiungere Muji, delle adorabili vecchiette ci chiedono informazioni. In tedesco. E insistono pure, pur rispondendogli noi in inglese. Ora, finchè si sbagliano con la bionda Isil passi, ma quando seguitano con me, evidentemente proveniente da zone equatoriali, cazzo, allora vuol dire che l’apparecchio acustico t’è proprio partito nonna! Chissà dove le abbiamo spedite!

E alla fine siamo arrivate da Muji. Il paese dei Balocchi per due cartolaie mancate come noi. Oh se anche Valetudo vedesse queste meraviglie! E’ una catena giapponese dove si trovano articoli di cancelleria, ma anche da viaggio e per la casa, disposti con strategia. Tra le tante cose acciuffo un paraocchi da viaggio, di quelli x dormire in luoghi dove c’è sempre luce, tipo in aereo. Hanno anche una tasca dove si può inserire del ghiaccio sintetico per un sommeil de beauté! Ma la cosa più bella sono le pochettes per i trucchi, e le penne. Sul catalogo ci sono esempi di ciò che non riuscirò mai a fare: ordinatissime valige, ottenute grazie all’utilizzo degli scomparti che qui vendono.

Torniamo squattrinate all’ostello. A letto senza cena. Di peccati di gola oggi ne abbiamo fatti abbastanza.

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