venerdì 3 febbraio 2012

Ich bin die fesche Lola: due bisbetiche indomate a Berlino. Während: Venerdì 9 settembre 2011

Mi ero messa in testa di portare in ricordo a Valetudo Der Meister und Margareta, suo libro preferito. Tutte le librerie che giriamo, centrali o periferiche, contenevano l’opera omnia del maledetto russo, ad esclusione del Maestro, figurarsi di Margherita. Ma non ci diamo per vinte, anche perché Isil in metro ha avvisato una signora con una fodera comprensiva di segnalibro che si abbinerebbe alla perfezione. E così tentiam anche a Friedrichshain, sulla strada x la U-Bahn. Nada de nada, picche. Lasciamo perdere e ci dirigiamo verso il Bode, x quella che sarà la mazzata finale dei Musei per questa vacanza. Il progetto iniziale prevedeva infatti di dedicare il sabato e la domenca all’Altes e alla Gemäldegalerie, ma ci sarà sfficiente il venerdì col Bode: Nefertiti e il Rinascimento al prossimo giro. Il rosario di prove che ci distanziano dal Bode è presto in scena: sulla U5 che ci porta ad Alexander Platz arriva il servizio dei controllori. Se vi immaginate i nostri state pisciando fuori dal vaso. Questi di Berlino sembrano più agenti della CIA in uniforme. T’arrivano 2 ragazzoni con 36 cm di diametro di bicipite che pare come hobby abbiano quello di staccare a morsi le teste alle lucertole e con le code farci braccialetti. Sono equipaggiati di varie armi e guanti di pelle nera. Sembrano amici dello strabico del Ring. Sono alti non meno di 1m e 90 cm. Non ci giurerei perché qui l’immaginazione potrebbe aver avuto la meglio, ma se non erro avevano anche un doberman con loro. Poi dice che in Germania il servizio dei trasporti funziona: prova a non pagare il biglietto con questi articoli alle calcagna. In Italia si fa presto, viaggiano tutti gratis e poi ci si lamenta della scarsità di corse…

Ma il rosario continua. Giunte all’isola dei musei dobbiamo aspettare in coda sotto la pioggia battente, tutto per vedere quella sgualdrina di Cecilia Gallerani, nota anche come La dama con l’ermellino, ritratta da Leonardo un botto di secoli fa. E’ qui in esposizione temporanea, come fu più di 10 anni fa a Firenze. Allora dovetti rinunciarvi, non si riusciva a prenotare, adesso non può sfuggirmi! In realtà il Bode ci interessa per questo, più che per l’arte medioevale e bizantina.

Inganniamo l’attesa fotografando le numerose ragnatele annidate sui parapetti del canale. A un certo punto però la macchina di Isil si blocca su un menu non chiamato volontariamente dalla fotografa, ma sfiorato involontariamente, accidenti ai touch screen! Non si schioda, non c’è verso. Ci sentiamo invase dalla tecnologia. In quel caso non ci interessa che la macchina faccia i colpi di sole, bastavano le foto, e invece no. Che te ne fai di tutte quelle funzioni se l’unica cosa che t’interessa risulta indisponibile. Qui per maneggiare un qualsiasi aggeggio bisogna essere tuttologi.

Alla fine ce la facciamo a entrare. Si bevono la mia carta dello studente, col ricavato guadagno il pranzo. Ma le code non sono finite. Coda al bagno e al guardaroba. Quest’ultima l’avremmo sfangata non fosse che il mastin-portiere ha reputato la mia borsa troppo grande. E meno male non ha visto la valigia!

La coda c’è anche per vedere Cecilia, ma è cronometrata. All’entrata c’è un display che indica l’ora di entrata approssimativa relativamente al numero di serie del biglietto di entrata; si va a tranches di 30 persone. Per fortuna c’è un servizio di sms che ti avvisa quando mancano 10’ al tuo ingresso. Inviamo subito il messaggio. In base al numero del biglietto stimiamo che abbiamo ancora un lasso di tempo da poter dedicare a un caffè. Spendiamo 5 ore per qualcosa che in 2 o 3 poteva essere fatto. Peccato che il servizio telefonico faccia cilecca e alla fine arriviamo in ritardo. Per fortuna dentro si può stare quanto ci pare. Insieme a Cecilia ci sono un sacco di altri personaggi, su cui Isil avrebbe fiumi di parole. La dama è lì col suo ermellino e una guardia tutta per se, che ci tiene a distanza. La dobbiamo vedere così, distanti e ammassati.

Si esce. Aria. Certe esperienze ti sformano.

Girellando ci imbattiamo per caso in Tacheles, un centro sociale di dimenioni titaniche a nord di Alexander Platz. E’ disposto in un edificio a 4 o 5 piani, tutto graffittato. C’è un puzzo di piscio che ti porta via. Molti artisti, o aspiranti tali, propongono le loro creazioni; vinili messi a mò di borsetta o di quadri, tavole, gioielli, abbigliamento, di tutto un po’. Saliamo i vari piani. Nell’attico troviamo un’installazione curata da una fighetta sciacquina che parla un inglese di merda con un guappo berlinese dai bicipiti ben in vista e i texani sul tavolo. Da quel turpiloquio in maccheron-anglo-scolastico apprendiamo che la pischella era a Milano senza sapere cosa fare e allora un’amica che conosceva l’arista di cui stava curando la mostra aveva sentito se aveva bisogno di una persona. Aveva bisogno, ed eccola là a Berlino. Mi chiedevo se gliel’avrebbe data o no al gatto con gli stivali. Faceva tanto Ecce Bombo… “Faccio cose, vedo gente”. E invece Isil si chiedeva cosa ci facesse lì quell’incompetente smandrappata: se sapeva l’inglese a quella maniera figuriamoci il tedesco, o l’arte o quello che stava curando. Per seguire, curare, allestire un’esposizione non è che ti puoi proprio inventare le cose lì x lì, ti svegli la mattina e “puf!” diventi curatrice d’arte. E invece il mondo va così: conosci le persone giuste al momento giusto ed è fatta. Quale merito? Te che ti sei fatta un culo della madonna – per carità anche per piacere – all’università uscendo col massimo dei voti e parlando perfettamente almeno 3 lingue, te no, stai a fare la gavetta nei peggio musei perché non conosci nessuno e allora sei una merda. Forse un po’ di gioco lo fa anche il perfezionismo che non ti fa vendere come si converrebbe: ti guardi bene dal dichiarare qualche conoscenza, per amore della stessa, se non ne sei sicura al 200%; magari invece questa moretta ha sparato un TOEFEL al 90% ed è andata con dio.

Dopo questa esperienza e queste considerazioni lo stomaco rivendica il suo statuto esistenziale. Era il solenne momento di un croissant salato col prosciutto. Facciamo un paio di giri avanti e indietro tra Alexander Paltz e Potsdamer Platz, alla ricerca del nostro chiosco di fiducia. Facciamo capolino dal sottosuolo a Potsdamer Platz e Isil apprezza quanto si sia trasformata dal 1994, data della sua prima gita a Berlino. Dove ora sorgono il Sony Center e il museo del cinema lei ci era passata col bus, incredibile.

Né presto né tardi, si torna in Alexander Platz, alla Galelria Kaufhoff, sulle tracce dell’ukraino Bulgakov per Valetudo. Niente manco qui, ma per lo meno abbiamo la fodera.

All’ostello decido di curiosare un po’ sulla casella di posta elettronica e su Face Book, pensando di risolverla in 2 minuti. Povera scema! Mi ce ne voglion 20, dato che le volpi di FB mi hanno messo dei paletti assurdi, visto che accedo da una postazione non usuale al mio profilo. Roba da pazzi. Bel coraggio loro che se pubblichi una foto non è più tua, e mi vengono a parlare di sicurezza…

Ci scaldiamo con una economicissima e vicinissima zuppa e sushi da Papa no. E alle 11.00 siamo già a nanna. Non è da tutti passare così il venerdì sera a Berlino.

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