mercoledì 26 agosto 2009

Day 1: 07/27/'09

Ci siamo. Mi sveglio molto prima che le lancette detonino la sveglia allo scoccar dell’ora stabilita. Riguardo qua e là guida e ogni frase è un invito a partire, un rimprovero per non averlo fatto prima: sulle statali ci sono spallette che separano chiaramente ciclisti da autovetture. Mi sembra un’ulteriore conferma di civiltà. Da noi le ciclabili finiscono nel nulla e sono spesso invase dai pedoni, che anche loro quando ci si mettono danno del filo da torcere, per non dire peggio, e per non parlare dello stato in cui le piste sono... piene di buche; spesso preferisco passare dalla strada normale, non voglio rovinare il paziente e rovinosamente costoso lavoro di decennale del mio dentista.

Sbircio la guida linguistica... dubito me ne servirò... è vikingo quella roba là, hanno i pallini sulle A (å), figurarsi! Poi, da che mi racconta Isil, qua l’inglese lo sanno dalla culla alla casa di riposo... Immagino che discuteremo molto, dannandoci, nel confronto Italia-Svezia, e ovviamente per dirla alla Marquez si parla di una morte annunciata, mi sembra ovvio.

Mi fa compagnia un libro di fiabe popolari svedesi; molte riprendono da tradizioni antichissime e i motivi si ritrovano in tante fiabe popolari, dall’Egitto, all’Europa del sud, come per esempio quella che oggi è “Biancaneve e i sette nani” o quella che fu “Eros e Psyche”. Questo economicissimo testo fu ciò che mi piace chiamare “il primo segno di Odino”. Quando lo comprai non sapevo ancora che avrei fatto questo viaggio; mi trovavo a Roma, reduce dal concerto della fava di Dave Gahan che si esibiva insieme ai Depeche Mode, con Valetudo e la dolce sua metà in una libreria underground vicino al Corso. Poi venne la notizia delle ferie e via di seguito il resto. Mi ero ripromessa i passarlo a Valetudo prima di partire, ma non ce l’ho fatta, il lavoro abbrutisce. In realtà aspetto questo momento da 2 anni, cioè da quando Isil è partita, ma la Scandinavia era sempre too expansive per le mie tasche di studente in perenne pezza la culo, e quindi il lavoro abbrutisce ma soddisfa il “paradigma della pagnotta” (senza quattrini non si campa), scoperto dal Tanga, eterno laureando in filosofia, che dopo 10 anni di viscerale studio di Noam Chomsky (uno dei massimi linguisti del ‘900) arrivò a tale conclusione. Per di più questo era un viaggio che più volte abbiamo tentato di intraprendere con Valetudo, e infatti mi spiace non essere qui con lei ad aspettare il check-in, ma il Sommo - si sa - mette sempre ostacoli sul nostro cammino. Per fortuna noi non siamo “omini di poca fede” e insieme o in copagnia “trenseamo lo cavalcone in fila longobarda”, l’importante è farlo e senza starci a zompar sopra più di tanto. Non ho preso un cartone: se vi state chiedendo che cazzo vado dicendo bè basta vedere l’imperdibile “Brancaleone” del  figliodiputtanescamente superlativo Mario Monicelli. 

Insomma questo viaggio è così atteso che sembra impossibile esserci arrivati. E’ tutto surreale. Dato il segno che il dio del nord m’aveva mandato, volevo portare un gallo del Mugello in sacrifico - roba ruspante, mica da allevamento in batteria -, ma temevo una crisi isterica dell’hostess se avessi tentato di infilarlo nella comoda cappelliera, non mi sembrava carino; poi non credo ci sia niente di peggio di vedere un’hostess che arriccia il labbro, a pupilla contratta e che inizia a roteare la testa strillando. Va a finire che si spettina e questo va al di là anche dell’immaginario del Dario Argento più in forma. Voglio dire, la hostess non esce spettinata mai nemmeno dalla cabina di pilotaggio, anche se il capitano ha il nodo della cravatta allentato, quindi mi sembrava oltremodo oltraggioso. Con il Maître, o meglio Maîtresse de cabine è un altro paio di maniche, ma è il nome che lo dice. Quindi niente sacrificio a Odino, Oden nella lingua che parlano quei meravigliosi selvaggi. Desisto da quest’impresa e mi inventerò qualcosa al momento debito.

Intanto scopro che all’aeroporto di Firenze (so che sembra più una pista di go-cart, ma quello abbiamo) ci sono dei lavori di ristrutturazione E’ davvero un buco. Qui non c’è verso che ti perdi qualcosa, è tutto nella stessa sala. Però mi accorgo di non aver chiuso bene la valigia al check-in.. ero troppo impegnata a mascherare l’imbarazzo dei chili di troppo (miei e del bagaglio, dimmi che valigia fai e ti dirò chi sei) e avendo fatto finta di nulla l’ostessa m’ha fatto tirare un respiro di sollievo distraendomi. Ormai è troppo tardi, pace, vedremo in Svezia se c’è ancora tutto... 

Sul primo volo sono abbastanza preoccupata  dato che farò scalo a Zurigo ma non avrò tempo per raggiungere la coincidenza. Atterro alle 4.00, ma alle 4.30 ho l’altro. Voli diretti da Peretola non ne fanno più, se partivo con la Ryanair c’era da andare a monculi, quindi mi tocca fare le corse. La Maîtresse de cabine mi rassicura bionda ed alta, dicendomi che mi aspettano. Il caso vuole che sia seduta accanto a uno stoccolmese che era venuto in vacanza a Firenze con altri due amici, quindi ci facciamo coraggio e corriamo tutti insieme, nemmeno si fosse pagati. Ovviamente arrivati alla barriera metallica mi inizia a suonare tutto, colpa degli stivali, quindi mi devo aprire i 30X2 cm di zip e restare scalza e oltretutto devo sfoderare il mac... prende freddo povera stella, che iene! Chiedo un paio di pattini a quel punto, mi rispondono “Go away”... nati d’un cane! La combriccola nordica mi scorta fino al gate utile; sul nuovo aereo ci hanno diviso. Chiaramente la fama di freddezza dei nordici non mi viene assolutamente confermata. Nel nuovo aereo siedo tra un egiziano e un palestinese. L’egiziano è logorroico. Mi attacca un pippone assurdo. Il caso ha voluto che fossimo in prossimità dell’uscita di emergenza, volevo aprirla a un certo punto. Gli è andata bene perchè tutto sommato i mio spirito di autoconservazione, nonostante i tracolli all’assenzio dell’adolescenza, è ancora in piedi.

Ad Arlanda ho toccato subito con mano l’efficienza sveva, la valigia è arrivata subito con tanto di cartellino rosso “Transito breve dalla Svizzera”... e altrimenti sarei dovuta tornare tra le mucche e il cioccolato a prenderla, non mi pareva il caso. Sono orgogliosa di me stessa: solo quando riprendo il bagaglio ricordo che non lo avevo chiuso bene... sto iniziando a smetterla di farmi paranoie a vuoto, o sbaglio? Il motto d’ora in poi sarà: validi tutti i tipi di seghe tranne quelle mentali. Si invecchia, ma si diventa anche saggi!

Uscita dal terminal per i voli internazionali incappo subito nel flygbussarna che mi porterà in centro, ed anche qui un altro mattoncino del già di per sè esiguo muro pregiudiziale verso la norditudine viene giù come una pera dall’albero: chiedo informazioni per il biglietto all’autista che si sta ossigenando con la MS di rito tra una spola e l’altra; mi dice di andare tranquilla al tabacchino senza la valigia che avrebbe egli stesso badato. Detto fatto, mi ha anche guardato l’ammasso di 22 kg con ruote, incredibile... GOD SHAVES THE KUNG! Lungo i 40 min di tragitto ascolto un pò di radio e scopro che non tutte le lunghezze d’onda sono coperte. Ho già scritto un sms ad Isil, che si sta avvicinando al City Terminalen della Central Stationen, dove fa capolinea questo pullmann con l’arcobaleno disegnato sopra. 

Dal finestrino si iniziano a vedere le tipiche casette svedesi, quelle delle fiabe: nella campagna con tetti scoscesi, rosse scure con le rifiniture bianche. Poi via via palazzi. So già che questa città mi piacerà moltissimo.

Mi guardo alle spalle. Le strisce bianche sull’asfalto se ne vanno.  Il viaggio è iniziato.


Isil, come stabilito, mi ha aspettato al City Terminalen della Central stationen, dove fanno capolinea tutti bus che portano nei vari aeroporti di zona. Ce ne sono altri due, ma Arlanda è quello più inflazionato. Arriva qua anche l’Arlanda Express, un treno che costa un botto in più però. Isil è feconda di consigli in tal senso, e devo alla sua esperienza qua tutte queste agevolazioni, che tra l’altro mi permetteranno di non fare una vacanza, ma un viaggio. 

Esco dal bus ed entro nella bianca stazione, la vedo seduta su una delle tante banchine disseminate qua e là, per il comfort degli astanti, che lo svedese tipo ha come imperativo categorico ed in ogni sua accezione. Isil è lì seduta, con i suoi lunghissimi, ormai inarrestabili, capelli biondi, che la mimetizzano perfettamente tra la fauna locale, ed è evidente dalla sua radiosità che è nel suo habitat che vive adesso. Ci abbracciamo forte e sorridenti, con la gioia che sprizza da ogni poro di chi non si vede da molto, con la consapevolezza che la distanza tra persone non si misura in Km. Sgambettanti come due liceali in gita prendiamo la Tunnelbana (vale a dire il metrò, bistrot e gigolò) che però si dice tipo |tiunnelbòna|, in particolare è la linea verde che ci interessa, la più antica. Stoccolama ha 3 linee, oltre la suddetta ci sono anche la rossa e la blu, la quale a quanto pare è anche la più bella, ma in questo momento è chiusa  a tratti per dei lavori in corso. Sembrano poche forse le linee per una capitale, ma si diramano efficaci come un piovra e poi vanno considerati gli altrettanto veloci autobus, tram e treni locali, dato che anche i mezzi privati su strada quando son tanti sono 5 in croce... e per gli indigeni sono code... venghino signori, venghino nel Bel Paese, e la smetterete di usare eufemismi! 

Con la verde raggiungiamo Alvik, e da lì con un autobus raggiungiamo l’Ulvsunda Slott, il castello di Ulvsunda, nei pressi del quale vive Isil. La casetta che ha affittato da una coppia tirchissima di vecchietti (Bengt ed Eva), è un tipico edificio del dopoguerra, in eternit: niente paura, qua addirittura gli edifici costruiti con questo materiale sono considerai partrimonio artistico e non possono essere smontati; a quanto pare non sussistono pericoli perchè il trattamento della materia prima e il suo assemblaggio son stati fatti a regola d’arte... figuramoci se gli svedesi declamano patrimonio artistico qualcosa fatto al di là delle regole o pericoloso?! Nella terra dove i ciclisti vengon fermati dagli sbirri se non portano il casco e costretti a fare 10 flessioni per punizione, mica si scherza!

Oltre il rivestimento in eternitt grigio e un aspetto da casetta delle bambole dal di fuori si nota un raffinato giardino tirato a lucido. Non ricordavo doti di giardiniera particolari in Isil, che è sempre pronta a stupirmi.. niente illusioni, sono i due vegliardi dalla mano corta che ogni 2 giorni vengono a falciare l’erba e a curare le rose.... sul retro ci sono anche un melo e una fontanella, non manca proprio nulla. ed inoltre c’è anche l’allarme... sicuramente i coniugi nasconderanno un tesoro in soffitta... Quest’ipotesi viene  tosto sconffessata: salendo le scale a chiocciola si sale nel primo piano a tetto ed è occupato dalle nostre stanze e da un bagnetto... ma il piano terra si rivela oltre le aspettative, è lì sicuramente che va cercato il tesoro di Benben ed Eva: superato il disimpegno dotato del rigoroso spazio appendi-abiti e porta-scarpe che in ogni casa svedese si trova accanto alla porta  dato che negli interni si sta scalzi (anche quando vai a cena da qualcuno, via le scarpe, quindi occhio e oltre a farvi un bidè in Svezia lavatevi anche sempre i piedi prima di uscire, non si sa mai), troviamo un altro bagno e dal lato opposto la cucina, piena di bizzarri aggeggi, quali un apriscatole attaccato al muro; ho avuto pietà ad usarlo perchè temevo di far venir giù la a parete, o per lo meno di disincrostare l’intonaco, dato che con questi oggetti non me la dico un gran che. Sia dal disimpegno che dalla cucina si può raggiungere la sala del trono: un ambiente sdoppiato in sala da pranzo e soggiorno in cui c’è una tv. Il posto è fortemente inquietante: in pieno stile vittoriano, si autoelegge teatro di sedute spiritiche, suicidi di massa, partite di bridge e tombola, supervisionate con dovizia di zelo dalla coppia di over 65. Un altra porta si affaccia sulla cucina, è lo studio di BenbenheshotsmedownBenben, inaccessibile, quella porta non deve mai essere aperta, neanche dal riscontro. Chiaramente va da sè che mangiamo molto vicini a ciò che sospettiamo gli affittuari custodiscano.

Impiego un’infinità a disfare la valigia... è inutile, non imparerò mai a fare i bagagli intelligenti, che poi cosa voglia dire me lo devon spiegare: uno porta ciò che gli sembra indispensabile aver con sè... se io ho 350 personalità e ognuna deve vestirsi, anche solo di mutande ci vuole un cargo, o no?!

Fortuna che ho con me le Fiabe popolari svedesi, c’azzeccano come la pommarò sulla penna rigata (rigata mi raccomando, sennò er sugo nun c’azzecca); le novelle prima di dormire, un lusso che non mi prendevo da 22 anni, quando la SIP aveva il numero per “Le favole della Buonanotte”... qualcuno se lo ricorda ancora? Il mio segnalibro è diventato un gettone d’ottone con una riga su una faccia e due dall’altra; e improvvisamente ho avuto voglia di fare un numero girando i fori nella rotella e parlando in una “cornetta” vera, di quelle grigie che anche le corna dei vichinghi gli legano e scarpe.


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