mercoledì 26 agosto 2009

Day 4: 07/30/'09

E’ la volta di Junibacken, che non so ben definire... vediamo un pò... ovviamente non esiste un posto simile da altre parti, che io sappia, e qualsiasi paragone mi è difficile. E’ un luogo magico, un “posto delle fragole”, cioè un luogo che ti richiama alle gioie dell’infanzia, infatti è pieno di orde di marmocchi in visibilio. Qui si usa l’espressione “il posto delle fregole” (c’è anche un film di Bergman che s’intitola così, ma in italiano l’espressione non ha senso: è perchè qua da piccoli si va a fare fragole, chiaro ora?). Sono riprodotti in varie sale, gli ambienti delle fiabe più popolari, ad esempio c’è la casa di Pippi Calzelunghe, per entrare nella quale ho battuto una chiorbata micidiale, e mi ci sta bene: è tutto a misura di bambini. C’è un bookshop con molti libri tradotti in svariate lingue, fino al giapponese e al persiano e soprattutto c’è un teatrino ispirato ai personaggi di Elsa Beskow che va in scena 2 volte al giorno. I bimbi sono estasiati e spesso entrano sulla scena facendo domande agli attori, altro che metateatro pirandelliano... Ma la cosa più bella secondo me è “il trenino”: per un quarto d’ora circa veniamo catapultati nella letteratura per l’infanzia svedese, salendo su una sorta di diligenza che attraversa il mondo di “Emil” ed altri eroi fantastici, in modellini ricostruiti alla perfezione; l’apice arriva quando si vola sopra Stoccolma notturna ed invernale, provare per credere. Una voce fuoricampo (in opzione plurilingua) accompagna il viaggio; lo trovo un ottimo modo per incuriosire anche a storie che ancora non si conoscono.

Non so quanto questo luogo potrebbe colpire un bimbo italiano, a patto che non sia troppo grande: in Svezia la fantasia è messa a cottimo da subito e non ci sono cazzo di playstation o nintendo ad atrofizzare i neuroni stimolando le aree della rabbia e dell’aggressività; poi ci si scandalizza se gli adolescenti torturano gli animali al parco... ma non è colpa solo di questi videogiochi, che vengono dati in pasto alla gioventù senza strumenti critici e soprattutto per colmare il vuoto che i grandi non riescono a colmare, dato che devono lavorare come pazzi e non arrivano alla III settimana del mese, perchè chiaramente in Italia, a differenza che in Svezia, le infrastrutture non aiutano un piffero... pensano tutti all’embrione e al feto finchè sta in corpo alla mamma, dopo azzardati a cercare un asilo nido, stai fresco (Guzzati docet). Qui si tramandano giochi di legno e pupazzi di generazione in generazione, ma sono tutti molto più allegri, inventivi e soprattutto meno annoiati e viziati. Io non dico che il poco faccia bene, ma neanche il troppo amore: quando le mamme vanno a fare fika, d’inverno lasciano le carrozzine fuori dal locale, a vista, ma fuori, con il pupo dentro, che così si temprerà al freddo. Esistono anche asili dove il genitore può decidere se inserire il figlio in un programma che, neve-pioggia-sole o grandine che sia, fa svolgere tutte le attività esclusivamente all’aperto. Ci sono asili sui posti di lavoro, e a migliaia nei quartieri, che accettano i mostriciattoli anche molto prima che suoni la campanella, perchè se uno deve andare  a lavorare non deve esser certo per i figli che non ce la fa. E non esiste donna che non lavori: “mamma” o “casalinga” e rizzati qui sono parole senza senso, se succede è sporadico, perchè sei malata, o hai qualche problema. E non c’è a stupirsene nella terra della femminista per antonomasia Pippi: la Calezelunghe, come mi ha fatto brillantemente notare Isil, è una bambina, cioè una femmina sola e fa quel che gli pare. I figli non sono un problema, ma una risorsa. Se hai un figlio è lui a camparti (se si sparge la voce tra le ragazze madri avremo la frontiera intasata): lo stato stanzia un mucchio di soldi, oltre a rifornirti di pannolini (abbiamo idea di quanto costino???), carrozzina/passeggino e seggiolone, saranno brutti e tutti uguali, ma cazzo a caval donato non si guarda in bocca, o ricordo male?! Scrivere queste notizie e ribadire di nuovo l’inesorabile abisso mi mette a rischio d’infarto... E’ così semplice e logico, e perchè da noi non accade??? Ma perchè siamo un grande ufficio di COMPLICAZIONI AFFARI SEMPLICI. Ma torniamo ai lattanti: se una mamma sale su l’autobus con una carrozzina non paga nè lei nè il bambino. Questo meccanismo forse però cela una crepa nel sistema svedese: anche in questa terra fantastica sono i single che si sobbarcano le spese per la “famiglia”... cari svedesi qui mi cadete, vi vogliamo un pò più pagani, riscoprite le vostre origini!!! In fondo della macchina “famiglia”anche Stieg Larsson e compagna son stati vittime: l’autore della trilogia che tanto sta spopolando conviveva con la sua compagna, ma morendo improvvisamente questa si è vista depredare dal di lui fratello e padre di praticamente tutto; Stieg pare non se la dicesse gran che con i parenti serpenti ultimamente, ed infatti questi hanno tutta l’opinione pubblica contro; temo che di questo a loro non importi poi molto. 

Per inciso Pippi è stata inventata una sera che la figlia della Lindgren era malata e voleva una storia dalla mamma... cavano qualcosa anche dai febbroni!

Da Pippi a Lisbeth (“Uomini che odiano le donne”), non male il salto... ma dove ho perso la principale? Ah, si, eravamo a Junibacken... Siamo molto vicini al Vasamuseet, ma optiamo per andarci poi, e viriamo verso la parte più est di Djurgården, che passa oltre Skansen, il primo museo all’aperto sul folklore svedese, che dice sia un amore a Santa Lucia, da dove il corteo con le vergini con le corone e le candele in testa parte, e a Midsommar, il primo WE dopo il 21 giugno quando si celebra l’arrivo dell’estate e lo stoccolmese doc si va a ubriacare sonoramente; in questo i riti pagani rivivono, come quando a Bologna si brucia il Vecchione... passiamo oltre e ci dirigiamo verso l’ambasciata italiana e consolato, di cui solo questo pare essere accessibile; vi farei vedere che villona stile beautiful è l’ambasciata, e di che se ne fanno se i cittadini italiani non ci possono andare? Questo viaggio mi fa porre tante domande e mi fa salire notevoli incazzature.... confessiamolo! Ma a noi del console e dell’ambasciatore non frega, proseguiamo verso un delizioso caffè, allestito in una serra, che quindi d’inverno offre una coibentazione ottmale, dove coltivano ortaggi, frutta, fiori  e spezie in modo del tutto biologico, Rosendalsgården il nome di questa amenità. Il menù è vario  e abbordabile un pò per tutte le tasche; mi decido per una zuppa di carote, che ospita anche dei ceci ed è arricchita da créme fraiche e rigorosamente accompagnata da pane e burro, e dato che sennò si sta troppo leggeri mi avvento anche sulla torta di carote, che vedo come scelta essere condivisa dalla maggioranza degli avventori, dato che non fanno quasi in tempo a portarne di nuove. Ha un nome che comincia per MOK, ma proprio adesso i sfugge... per fortuna corre in mio aiuto Isil: si tratta della Morotskaka, che parola arzilla, se avrò un pesce rosso lo chiamerò così. Il baccanale merita una pennichella con i fiocchi, che consumiamo sul prato antistante tra meli, olivi e altre piante, tutte etichettate e classificate, si sente l’eredità di Linneo, cosa molto diffusa, così come i picnic, complice l’inverno rigido e buio che quando lascia il posto alle stagioni calde non dà tregua a nessuna aiuola. Ci sono coppie giovani, sia con bambini che non, si portano il vino, i flutes e anche un lenzuolo d’erba diventa un divano ikea. 

Ci addormentiamo di brutto, il cece ci ha tirato un brutto scherzo, mi ritrovo con la bocca aperta e la bavetta, uno spettacolo. Ahi! Ci rendiamo conto che è tardi: questa sera abbiamo un appuntamento... quindi ci catapultiamo alla fermata del 47 che ci porterà  a una metro utile per arrivare a destinazione; l’obiettivo è Södermalm (detto semplicemente Söder dagli autoctoni) che visiteremo meglio domani; Isil mi ci vuol portare per suggellare i miei 31 anni, perchè pensa che sia il quartiere più alternativo di Stoccolma, non è adorabile? Se non ci fosse andrebbe inventata! Quello di stasera è solo un piccolo un assaggio. Dobbiamo andare a casa di Rosalba, una amica di Isil. Le 5 del pomeriggio per un italiano possono sembrare presto, ma visto e considerato che uno svedese dopo un’oretta scarsa cena  essersi presentate alle 5.30 ci ha aperto le porta ad una cena svedese in piena regola. Rosalba è sposata con Pelle (diminutivo di Peer) ed hanno due bellissime bimbe, Emilia ed Alice. Vivono in un carinissimo condominio degli anni ’50, facente parte del funzionalismo tipico di quegli anni; in questi palazzi ci sono anche appartamenti che restano a disposizione, per cifre irrisorie, per eventuali ospiti dei condomini, super confortevoli ed attrezzati. La prima cosa che imparo entrando in una casa di svedesi indigeni è che ci si tolgono le scarpe appena si entra; in ogni abitazione, grande o piccina che sia, accanto alla porta d’ingresso c’è un piccolo vano appendi-abiti e posa scarpe, dove vanno smollati i suddetti accessori seduta stante e soprattutto prima di muovere un sol passo all’interno della dimora, pena il poter parlare solo in presenza di un avvocato e il diritto ad una sola telefonata. La famiglia ci accoglie festosa, le bimbe facendo “Pyssla” (credo si scriva così, Isil aiuto!!), cui non esiste - stano - un corrispettivo italiano: è una specie di collage, ma non proprio, si usano carta, forbici, colla, si disegna, si colora, insomma si mette a ferro e fuoco il salotto spandendo ritagli piccolissimi e appiccicosi di carta in ogni dove, per cui tra l’altro riscopro, dopo 25 anni, di avere una certa dote... C’è un ottimo vino ad allietarci, insieme ad una fisksoppa (zuppa di pesce) tipica del giovedì sera,  e knäckebröd  (pane croccante... i crackeroni wasa per intendersi) con burro salato spalmabilissimo. tutto si prepara i 5 secondi, lo svedese è così, non può stare a traccheggiare più di tanto: Pelle a fine cena si imbosca furtivamente in cucina con un libro di ricette, ed eccolo riemergere un momento dopo con una sfiziosisima äppelpaj (torta d i mele) accompagnata dalla crema di vaniglia di rito. Con le bimbe pyssliamo ancora un pò, ma soprattutto ci perdiamo in chiacchiere con Rosalba, che avendo origini italiane può ben tirare le somme di un confronto, non fatto quindi per sentito dire e conferma quanto già detto qui. Dal vicino parco di Tantolunden, unico luogo pubblico della Svezia dove si possono bere alcolici nonchè sede dei festeggiamenti della settimana del PRIDE, giungono note di festa e noi spaziamo dalla RU486 che qui viene somministrata in ospedale, alla pillola del giorno dopo, che manca poco può essere richiesta al bar la mattina mentre fai colazione; pensate che bello: invece di scapicollarti dalla guardia medica non obiettrice di di incoscienza, te col panico e la faccia da colpevole e lo sperminator con gli occhi da cane bastonato, te ne dormi bella tranquilla, tanto ormai la frittata è fatta, poi ti vesti, ti passi il correttore, perchè effettivamente sei sbattuta, il fard e tutto il resto, vai dal tuo barista di fiducia e il dialogo potrebbe essere più o meno questo:

“Il solito morettina?”

“No oggi prendo un cappuccio e una pilola del giorno dopo”

Rosalba è un’infermiera, ovviamente la assedio di domande; e anche qui la Svezia ci svernicia: debitamente specializzati fanno anche gli anestesisti, sulle ambulanze ci sono solo infermieri. Mi invita, per la settimana che verrà,  a fare un giro al Danderydsjukhus  dove lavora. Sono sorpresa, meravigliata e non sto nella pelle. 

Assediamo l’appartamento di Söder ben oltre le due del mattino... in tempo per vedere l’alba. Ci incamminiamo per la metro, di solito funzionante, ma non quella notte, come ci informa un barbone sconsolato che vi era diretto sperando di trovarvi un giaciglio. Ci dirigiamo verso la fermata del bus, che non tarda ad arrivare. Non siamo molti: Dopo qualche fermata sale un ragazzo con un sacchetto di caramelle e gli ultimi bocconi di un Korv (specie di hot dog). L’autista non sente ragioni, gli intima di scendere. Lui ribatte, ingoiando l’ultimo boccone che ha finito e che l’unico criterio per salire sull’autobus, il possesso del biglietto, lo sta adempiendo quindi non vede il problema, che chiami pure la polizia. Il testa di cazzo dell’autista lo prende in parola e chiama il 112 (numero unico per l’emergenza, poi ti smistano loro a seconda di ciò di cui ha bisogno, mica come in Italia che ce n’è 300 di numeri e non si fa mai quello giusto). Intanto spegne il motore. Si sentono imprecazioni, le persone non si danno conto di come sia possibile. Una ragazza va a protestare: ha una coincidenza, se la perde dovrà aspettare mezz’ora da sola a Odenplan: l’autista non ci sente, ormai è partito per la sua tangente. Una ragazza cerca di chiarire la situazione prende le difese del ragazzo, avvertendo l’autista che lo sta discriminando; infatti gli aveva detto che “appestava”, e poi gli fa notare che non può interrompere il servizio per un “fuking korv” nel meltinpot anglosvedese molto diffuso tra i gggiovani. Salta all’occhio come ognuno si faccia le sue ragioni con estrema educazione. nessuno si muove dalle sue posizioni, tutto il bus è con il ragazzo del panino, ma poi arrivano le guardie che non sono proprio poliziotti, ma scagnozzi che gli agenti inviano per levarsi i grattacapi; sono giovani ed inesperti. senza tanti discorsi tirano giù il ragazzo dall’autobus infischiandosene delle nostre testimonianze. Lo strattonano, il ragazzo resiste, un altro passeggero cerca di mettersi in mezzo, tutto inutile, appena a terra gli mettono le mani dietro la schiena. E’ violento e terribile. La ragazza battagliera gli urla contro, e pensa ad alta voce: “E’ così che questo paese sta diventando”. Ovviamente per tutti gli incisi Isil si è cimentata in una traduzione simultanea con picchi di slang che alla comunità europea si sognano... mica parole, fatti!!! Siamo scosse e amareggiate. Ci aspetta un altro autobus e una piccola passeggiata. Ormai il sole è sorto, sono più delle 4 quando torniamo, ho già 31 anni, direi che sono iniziai in modo significativo, i primi a farmi gli auguri, oltre Isil, sono - x sms - Valetudo e il Tose, e di nuovo non posso fare a meno di pensare che la distanza non è un fatto di km, proprio no. Non mi sembra poi male come inizio dei miei primi 31.


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